Per aiutare lo Stato ad aiutare gl’Italiani angosciati dall’economia in ginocchio a causa del virus, la proposta di Paolo Cirino Pomicino è la seguente: «Lo Stato dovrebbe prevedere versamenti volontari da trentamila euro a dieci milioni, garantendo poi quarantotto mesi senza accertamenti fiscali».
Cittadini abbienti e società in attivo verserebbero questo contributo volontario in cambio di una sorta di pace fiscale di quattro anni, a condizione tuttavia che «i volenterosi» accrescano reddito e fatturato almeno 1,5 per cento all’anno. L’ex ministro democristiano ha precisato che non è una proposta di condono, ma di concordato preventivo, fatta allo scopo di scongiurare l’aumento del debito pubblico «che schiaccerebbe il Paese». Ed ha aggiunto di rivolgersi «ai più fortunati», sollecitandone la generosità in denaro anche come tangibile apprezzamento dell’opera di medici ed infermieri, innanzitutto. I pensionati, già così tartassati negli ultimi anni, sono giustamente esclusi.
Messa così, la proposta sembra avere lo scopo di autorizzare lo Stato a stringere un patto tra il fisco e «i più ricchi», configurandolo come un accordo realmente somigliante al contratto di transazione con il quale i contraenti, facendosi reciproche concessioni, prevengono per quattro anni le future controversie tributarie.
A me, che non sono esperto di debiti e tributi alla stregua di Cirino Pomicino, essendo ben noto il suo convinto, consistente, competente contributo ad aggravarne il basto sulla schiena dei contribuenti; a me, dico, la proposta sembra una di quelle che il governante di condizionate vedute cava sempre dal cilindro delle buone intenzioni e dal secchio dei pii desideri. Questo «patto del Buon Samaritano» appare poco buono e poco samaritano. Poco buono, innanzitutto, perché moralmente riprovevole in quanto dà un vantaggio tributario ingiustificato a quelli che hanno qualcosa da temere dal fisco, mentre quelli in regola con i tributi, non ricevendo gratificazioni, nulla sono incentivati a dare. Poco samaritano perché di amore verso il prossimo non si può parlare in quanto il versamento è fatto per scampare gli accertamenti fiscali, non per beneficare i bisognosi sconosciuti. Sembrerebbe che Cirino Pomicino abbia pensato che la proposta possa riuscire pure ad allontanare un’imposta patrimoniale, che è sulla bocca di troppi pseudo risanatori, non solo ad attenuare il previsto aumento del debito pubblico.
A parte le altre critiche, l’obiezione fondamentale riguarda il presupposto stesso di questa strana «imposta volontaria»: un bell’ossimoro, pensandoci bene. Chi sono «i più ricchi»? Come censirli e individuarli? Con l’autocertificazione? Esempio: oggi è considerato ricco chi supera 75.000 euro di reddito certificato dalle ritenute, tant’è che subisce l’aliquota espropriativa del 43 per cento, più le addizionali regionali e comunali; mentre è povero chi riceve una pensione sociale, vive in affitto ma tiene in banca 500.000 euro.
La proposta, dunque, rappresenta l’ennesima prova che, quando viene abbandonata la via maestra dell’uguaglianza legale e dell’imposta proporzionale, ogni genere di assurdità ed ingiustizie aspetta dietro l’angolo il riformatore benpensante.
Pietro Di Muccio de Quattro
Dal quotidiano L’Opinione delle Libertà di martedì 7 aprile 2020
Nella foto: Paolo Cirino Pomicino