Nella rubrica «Vetro soffiato» dell’Espresso, oltre che nei suoi editoriali sulla Repubblica, Eugenio Scalfari affronta spesso, con il suo profondo acume e la sua vasta cultura, argomenti che vanno ben al di là della contingenza politica e toccano questioni di grande rilevanza religiosa, morale ed esistenziale. Il tema della creazione e del suo divenire, del quale si occupa nell’articolo «Il tempo e Dio, un unico mistero» (L’Espresso, 21 ottobre 2018), è senz’altro uno di questi. Nelle conclusioni l’autore ne riassume così il contenuto: «Dio Creatore crea il tempo, non può farne a meno se vuole e deve creare. Ma il Tempo a sua volta crea il Creatore. Il Creatore è unico ma la coppia li ha creati divini: Dio e Tempo». Un argomento troppo affascinante per non attrarre l’interesse e suscitare interrogativi di difficile soluzione nel lettore che si ponga il problema dell’origine e destino del mondo e del senso della vita.
Ci si potrebbe domandare: e se il tempo non esistesse «in sé», ma fosse soltanto l’espressione di una categoria del pensiero, una costruzione della mente umana che, per sopravvivere, ha l’esigenza di catalogare, di ordinare, di costruire un sistema entro il quale incasellare e giustificare l’esistenza stessa dell’uomo e il significato della sua vita? E se esistesse soltanto un essere totale infinito ed eterno, una potenza che si autocrea e ha in sé le regole del suo divenire, la quale proprio perché infinita ed eterna non ha né tempo né spazio, ma è immutabile nel suo evolvere che tutto comprende? In questo caso si tratterebbe di un ente assolutamente impersonale, potenza ed atto allo stesso tempo, che non può essere concepito secondo gli schemi della mente umana e che, spinto da un prepotente impulso vitale, si autodetermina nella contemporaneità di presente e futuro, di unicità e molteplicità. Non si può non convenire con Sant’Agostino quando afferma che il presente, il passato e il futuro sono dimensioni dell’anima e sconfinano continuamente l’uno nell’altro e che «è inesatto dire che i tempi sono tre: passato, presente e futuro. Forse sarebbe esatto dire che i tempi sono tre: presente del passato, presente del presente, presente del futuro».
Nell’«essere totale» tutto ciò che è stato anche per un solo attimo, dal più piccolo granellino di sabbia alla più gigantesca mole, è stato ed è per sempre. E così l’uomo, le azioni che egli compie e i suoi stessi pensieri: le idee, prodotto della nostra mente, devono essere allora considerate entità concrete più vere degli oggetti materiali; come tali restano scritte in eterno nel grande libro dell’universo. Del resto il mondo esiste in quanto pensato. Diventerebbe piuttosto problematico allora postulare l’esistenza di un dio-creatore al di fuori di questo essere totale. Il primo atto di fede è dunque quello di credere nel pensiero e nella validità dei suoi prodotti: un atto di fede necessario, premessa indispensabile alla costruzione di qualsiasi visione del mondo.
Se il grande mistero resta pur sempre quello della vita, l’altro mistero è quello della mente umana e del significato della «realtà» che essa percepisce. Potremmo allora dire, parafrasando: «La vita e la mente umana, un unico mistero».
Girolamo Digilio
Dal Mensile di novembre 2018
Nella foto: Sant’Agostino d’Ippona