Un paese allo sbando

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Nei momenti peggiori della sua storia, prorompe dal profondo il carattere durevole dell’Italia, un miscuglio di eroismo individuale e retorica nazionale. Non fa eccezione la temperie umanitaria ed economica del coronavirus. Eroici sono quelli che assistono, curano, salvano vite e quelli che consentono alla società di continuare a vivere o sopravvivere. Retori sono quelli che esaltano false virtù del popolo e inesistenti meriti dello Stato, mentre condannano la burocrazia come causa di tutti i mali, quasi che non fosse figlia legittima dei vizi popolari e dei demeriti statali.

Tutte le inefficienze degli apparati pubblici sono venute a galla, come sempre, nelle difficoltà. Benché nell’ultimo decennio altre epidemie analoghe, sebbene contenute, siano apparse e siano state studiate scientificamente, tutto lascia pensare, stando ai fatti, che la struttura sanitaria fosse impreparata a fronteggiare l’ultimo virus, pur considerando le sue imprevedibili novità. Ma, è doveroso precisarlo, l’impreparazione appare la diretta conseguenza della scellerata scelta politica e istituzionale di aver posto, per Costituzione, la sanità tutta in mano della politica, anziché dei medici e dei tecnici della salute, degli scienziati del ramo. Inoltre, la regionalizzazione della sanità pubblica ha prodotto un risultato che stride con le premesse del servizio pubblico, fondato sui principi di eguaglianza, generalità, gratuità. Infatti la sanità italiana è  moralmente e giuridicamente discriminatoria due volte, contro gli articoli 3 e 53 della Costituzione: in primo luogo perché le cure sono differenti da regione a regione; in secondo luogo perché le imposte versate al fisco «rendono» così in modo differenziato. Abbiamo visto gli ammalati, cittadini uguali davanti alla legge, trattati diversamente a seconda della regione di nascita. E abbiamo visto pure il potere politico regionale indirizzare, talvolta con provvedimenti contraddittori, persino i metodi diagnostici e terapeutici. Spiace notare che, mentre i sanitari erano curvi sui malati a prezzo della vita, intorno a loro il mondo dell’assistenza girava in forme non esattamente ordinate e programmate. Il genio italico dell’improvvisazione sopperiva eccome, per fortuna dei malati.

Il governo Conte è capitato all’improvviso nella tempesta perfetta, senza colpa. Ha manovrato com’ha saputo. Ma i decreti a puntate e i discorsi a rate non hanno giovato all’autorevolezza né di Giuseppe Conte né del governo, che è decisiva in circostanze del genere. Per l’implicita similitudine con «l’ora più buia» del Regno Unito, qualche giornalista, e non degli ultimi, ha paragonato nientemeno Conte a Winston Churchill!

L’Italia è allo sbando. La responsabilità non è tutta e soltanto del presidente del Consiglio e di ministri rivelatisi inadatti. Il sistema nella sua interezza sconta l’ultratrentennale incapacità di governarsi con serietà politica, oculatezza finanziaria, efficienza amministrativa. Così, mentre intere categorie di cittadini meritano elogi e ammirazione, la classe politica brancola nella confusione, risoluta nel proibire e inefficace nell’elargire aiuti indispensabili quanto indifferibili.

Pietro Di Muccio de Quattro

Dal quotidiano L’Opinione delle Libertà di venerdì 3 aprile 2020

Nella foto: Giuseppe Conte