Trilussa tra favole e fiabe

187

Presso la biblioteca Angelica, sede dell’accademia letteraria dell’Arcadia, si è tenuto l’incontro dal titolo «Trilussa tra favole e fiabe», inchiesta-spettacolo, patrocinato da Fondazione Mondadori, Centro Romanesco Trilussa e Centro Studi Giuseppe Gioachino Belli.

Claudio e Gemma Costa con Luca Giacomini hanno messo in scena alcune poesie di Trilussa, ad una settimana dalla ricorrenza della morte, puntando l’attenzione in particolare sulla vasta produzione di fiabe e favole.

Trilussa, infatti, si è ispirato spesso a queste due antichissime forme narrative, emulandone la forma ma attribuendo ai contenuti valori innovativi, con una morale più moderna che può arrivare a stridere con quella classica. La lettura del «Sorcio lombetto» ne rappresenta un esempio lampante: il topo magrolino che si insinua in uno stretto pertugio per andare a rubare formaggio, invece di imparare la lezione impartitagli da un vecchio topo saggio, cambia il comportamento per trasformarsi da piccolo ladruncolo a ladro di professione.

In altre occasioni, il poeta di accontenta nelle fiabe di tracciare controluce una critica morale (ad esempio «L’orco nero») fino a spingersi alla satira vera e propria nella favola, che di norma non ha morale esplicita (si veda «La cornacchia liberale», la cui satira sociale e politica addita sia i liberali che i clericali come dediti al trasformismo).

La lettura è proseguita toccando altri temi importanti come il pessimismo di Trilussa espresso nella raccolta «Lupi e agnelli» o il lirismo caustico del «Cane e la luna», dove il poeta tratteggia la luna come impassibile (quasi insolente), ben diversa dall’astro caro a Leopardi tratteggiato nel «Canto notturno di un pastore errante dell’Asia»).

L’interpretazione degli attori è stata magistrale, specialmente nelle parti a più voci, dove il narratore faceva da contrappunto alla lettura briosa delle parti dei personaggi.Si è potuto assaporare in pieno l’allegoria contenuta fin nel titolo della «Calunnia», la sagacia della «Ricetta maggica», che «mette fine a tutti li malanni», il cui ingrediente speciale è la «strafottina»: una delle immaginifiche parole inventate da Trilussa, assieme a «mediocrazia», che appare nella «Strega mea». Un salto nell’intimo del poeta è stato compiuto con «Soffitto», che descrive con più morbida sagacia l’ambiente della sua camera da letto, fucina di tante idee e culla dell’allegria.

La rappresentazione si è conclusa con la lettura integrale della «Porchetta bianca», nella quale Trilussa trova il perfetto equilibrio tra satira e fantasia anche per l’utilizzo della sestina narrativa. Nella poesia, che inizia con il più classico dei «C’era una volta», intervengono tutti gli elementi tipici della favola – la caccia regia, il bacio trasformante, le prove dell’eroe, gli oggetti e personaggi magici – e appare per la prima e unica volta «una specie di spirito folletto». Tutti i fili lirici usati per l’intreccio sono sempre adeguati e giustificati dal finale, ricco di comicità per i doppi sensi noti a tutti che rappresentano la vera arma vincente.

«La porchetta bianca» è anche un capolavoro di allegoria morale, che può essere letta su più piani, meno l’esplicito colpo di scena finale del pezzo di sterco, abilitato a fare la morale ai potenti.

L’applauso finale agli attori è stato scrosciante e ripetuto, dimostrando che gli intervenuti che gremivano la biblioteca hanno ampiamente gradito sia l’intero impianto della narrazione che l’interpretazione degli attori.

Il Centro Romanesco Trilussa era rappresentato dal presidente Porfirio Grazioli, dal vice presidente e direttore del Rugantino Lillo Salvatore Bruccoleri, dal segretario Giovanni Roberti e dai soci Antonella Bravo, Claudio Garbarino e Massimo Moraldi.

Monica Bartolini

Nella foto: Luca Giacomini, Gemma e Claudio Costa