Trecento voti per Trump

1637
Il collegio elettorale riunito nel Michigan. Confermato l’esito delle urne

Non ci sono più dubbi, se mai ve ne fossero stati davvero, sull’insediamento alla Casa Bianca di Donald Trump come quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti d’America. Lo hanno confermato i grandi elettori concedendogli 304 voti quando ne sarebbero bastati 270. L’ultimo passaggio formale si avrà il 6 gennaio al congresso, cui spetterà ratificare in via definitiva la elezione. Il giuramento e l’immissione nella carica, il 20 gennaio, perfezioneranno il passaggio dei poteri da Barack Obama a Trump. Sono stati sconfessati gli isolati tentativi di ribaltare in questa sede i risultati scaturiti dalle urne, che per la verità non sono mai stati sostenuti dalla candidata democratica Hillary Clinton, che anzi aveva tempestivamente ammesso la sconfitta togliendo ogni margine di dubbio sulla conclusione di questa tornata elettorale.

Qualche voto è mancato all’appello, ma la sorpresa è stata che Trump ne ha persi due (gli elettori del Texas che hanno votato per il governatore dell’Ohio John Kasich e per il libertario Ron Paul), mentre Clinton addirittura otto: tutti provenienti da stati in cui aveva vinto il partito democratico e precisamente Washington, Minnesota, Maine, Hawaii e Colorado.

Non è mai successo nella storia americana che siano stati cambiati i risultati scaturiti dalle urne. David Axerold, che è stato consigliere politico di Barack Obama, ha ricordato in una intervista alla Cnn che Alexander Hamilton ha concepito il collegio elettorale come un cuscinetto per non perdere il controllo sulla democrazia, ma non è mai stato usato. Farlo adesso avrebbe spaccato il paese in modo distruttivo e scatenato un circolo folle in cui a ogni elezione il collegio elettorale sarebbe stato chiamato in causa. Ancora una volta è giunto un richiamo al senso di responsabilità e alla necessità di evitare divisioni laceranti che sulla costituzione una società democratica non può permettersi.

Gli elettori statunitensi sono stati chiamati a scegliere non solo il presidente ma anche i parlamentari della camera e del senato, che per la cronaca sono andati in maggioranza al partito repubblicano, che ora controlla il congresso.

Si sono svolti anche 147 referendum su questioni particolari, che non hanno esercitato alcuna influenza sul piano generale tanto da passare pressoché inosservati nel dibattito, incentrato sul confronto serrato tra i due candidati.

 

N°103 martedì 20 dicembre 2016