Relazione dei saggi al Quirinale (12 aprile 2013)

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9. Leggi di iniziativa popolare. Si segnala l’opportunità di elevare il numero di firme richieste, per tener conto dell’aumento della popolazione rispetto ai dati del 1948 (vedi sopra) e per dare maggior efficacia politica alla iniziativa. Dalla presentazione del progetto con il numero di firme prescritto deve derivare uno specifico obbligo di deliberazione per le camere (v. sub par. 18 lett. e).

10. Dibattito pubblico sui grandi interventi infrastrutturali. I grandi interventi infrastrutturali devono essere decisi solo dopo un ampio e regolato confronto pubblico, per favorire la partecipazione dei cittadini a decisioni che hanno impatto rilevante sull’ambiente, come richiesto dalla convenzione di Aarhus del 1998 e come avviene da tempo in Francia con le legge n. 276 del 2002 dedicata alla «démocratie de proximité». Il dibattito pubblico deve svolgersi nella fase iniziale del progetto, quando tutte le opzioni sono ancora possibili e deve riguardare tanto l’opportunità stessa della costruzione della grande opera quanto le modalità e le caratteristiche della sua realizzazione. Al dibattito, mediato da esperti estranei al committente, può partecipare tutta la popolazione interessata. I costi sono a carico del committente dell’opera. Dallo svolgimento del dibattito pubblico deriverebbero benefici sia in termini di partecipazione e democraticità delle decisioni sia in termini di speditezza ed efficacia dell’azione amministrativa (che in questo modo non verrebbe più permanentemente condizionata dalle pressioni settoriali e localistiche). Vanno inoltre disincentivate le impugnazioni meramente strumentali.

11.Principio di legalità. A causa dell’eccesso di produzione normativa, della complessità dei fenomeni sociali e della qualità non sempre adeguata dei testi legislativi, più spesso destinati alla comunicazione politica di quanto non lo siano alla disciplina dei rapporti giuridici, la legge ha in parte smarrito la sua potenza simbolica e la capacità di regolare efficacemente i comportamenti dei cittadini. Naturalmente non si può prescindere dalla legge, anche perché la soggezione dei magistrati ad essa rappresenta fattore di congiunzione tra un ordine giudiziario dotato di autonomia e di indipendenza e il circuito costituzionale fondato sulla sovranità del popolo. Ma la legge non sempre si rivela idonea a garantire, da sola, il principio di legalità nella sua dimensione di possibilità di prevedere le conseguenze giuridiche dei comportamenti di ciascuno. Il venir meno di quei fattori di certezza e di prevedibilità che erano tradizionalmente propri della legge e della interpretazione giurisprudenziale ha progressivamente ampliato i margini dell’intervento interpretativo del magistrato. Tale processo è difficilmente arrestabile, anche perché riflette una tendenza, propria non solo dell’Italia, di avvicinamento generalizzato ai sistemi di common law dove tuttavia altri sono i contrappesi, i meccanismi di responsabilizzazione e le fonti dalle quali l’ordine giudiziario trae legittimazione. L’autonomia e l’indipendenza della magistratura, la stabilità della legislazione e la prevedibilità delle conseguenze giuridiche dei comportamenti di ciascuno sono tutti diritti fondamentali nello stato democratico. Ma tali diritti possono essere messi a repentaglio dalla mutevolezza delle interpretazioni e perciò si propone di rafforzare – mediante interventi regolatori – l’autorità dei precedenti provenienti dalle giurisdizioni superiori e gli obblighi di motivazione in caso di scostamento da interpretazioni consolidate. Altrettanto necessaria è la crescita del senso di responsabilità del magistrato per le conseguenze delle proprie decisioni nella comunità; ma si tratta di questioni che investono prevalentemente principi di natura deontologica, difficili da tradurre in regole disciplinari, dipendenti strettamente dalla consapevolezza dei doveri di responsabilità professionale.