Frau von der Leyen, di recente nota per mielose espressioni della serie «siamo tutti italiani» che hanno l’indubbio pregio di non costare, risulta essere stata incaricata, dal consiglio europeo del 23 aprile scorso, di elaborare e di presentare, il 6 maggio, la proposta del Recovery Fund. L’unico atto che può dirsi di ispirazione comunitaria, tramontati gli eurobond, genericamente individuato dall’unione a conclusione di un tormentato periodo punteggiato da riunioni, confronti (e rinvii) ai vari livelli. Avviato il 13 febbraio scorso, per iniziativa del ministro Speranza, con la riunione dell’eurogruppo dei ministri della salute – il primo cenno di risveglio dal colpevole torpore comunitario in piena, conclamata pandemia – il processo decisionale non ha registrato né sviluppo né, tanto meno, esito alcuno. Superata la data del 6 maggio tutto tace, non si delineano proposte, mentre le condizioni e le prospettive dell’economia di larga parte dell’unione – non solo dell’Italia – sono disastrose.
Ma nelle more, andato a segno il raggiro del Mes che una semplice, onesta riflessione in tema di gerarchia delle fonti del diritto evidenzia nitidamente, i presidenti della commissione, del consiglio e del parlamento (sì, proprio quell’assemblea che trasmigra periodicamente da Bruxelles a Strasburgo, non rilevando, evidentemente, i costi di tale inutile consuetudine) si sono cimentati in una lettera sontuosa. Inneggiante all’azione dell’unione europea «in grado di proteggere il nostro patrimonio comune e le economie dei nostri Stati membri». Azione da rendere sempre più «trasparente e democratica», protesa, ça va sans dire, con slancio sul Green Deal.
Nel clima di euforia autocelebrativa dei vertici europei non è mancata, con dichiarazione a margine del documento, l’esortazione del presidente Sassoli a chiedere le scuse di quanti (sabotatori?) avrebbero rallentato l’azione dell’unione.
Chiaramente smentita – si direbbe – da fatti che ne hanno mostrato la generosità forse solo inferiore alla tempestività richiesta dal particolare momento. Talché i popoli europei – Italia in testa – pare debbano dirsi grati all’unione.
Peccato che nel tragico presente non si possa nemmeno sorridere!
Giovanni Corradini
Nella foto: Roberto Speranza