È in arrivo a Roma la signora Ursula von der Leyen. Occhio al cerimoniale. Non a quello italiano, esperto e qualificato. Ma al suo, ricordando ciò che accadde ad Ankara il 7 aprile scorso. A rimettercelo in mente è stata la stessa presidente che durante la plenaria del parlamento europeo apertasi lunedì 26 aprile è tornata sullo svolgimento del bilaterale tra Unione europea e Turchia, caratterizzato dal cosiddetto «sofa-gate»: la presidente della commissione seduta su un divano, mentre il presidente del consiglio europeo Charles Michel si accomodava su una sedia accanto al leader turco Recep Tayyip Erdogan. «Sono la prima donna presidente della commissione europea» – ha rilevato von der Leyen dinanzi agli europarlamentari –«ed è così che mi aspettavo di essere trattata. Ma non lo sono stata. Sarebbe successo se avessi indossato una giacca e una cravatta? Devo concludere che è successo perché sono una donna. Mi sono sentita ferita e lasciata sola: come donna e come europea». Parole dure, espressive anche di una perdurante emozione. Versione esente, però, da ogni ragionevole dubbio? Occorre attenzione per capirlo all’effettivo svolgimento dei fatti. Non si tratta di prendere le difese del presidente Erdogan che ora non è molto di moda in Europa dove si osservano principi e valori non sempre collimanti con le prassi praticate dalla dirigenza turca. Né sussiste alcun intendimento in tale direzione anche perché il personaggio, in caso di necessità, sa ben provvedere da solo. Vanno invece accuratamente valutate le effettive circostanze di quanto è accaduto ad Ankara, unico canale per esprimere giudizi oggettivi e fondati. Prima di ogni approfondimento, invece, è partita una salva di attacchi alla Turchia per l’«umiliazione» inflitta alla presidente europea nonché per il declassamento della donna Ursula.
Dunque i fatti. Per quel che può aver visto e dedotto un cittadino.
Uno. All’ingresso del palazzo presidenziale Erdogan ha ricevuto i presidenti del consiglio europeo e della commissione europea e, dopo le foto di rito, si è girato per rientrare, invitando Ursula ad accedere alla sede dei colloqui per prima e dando le spalle a Charles Michel. Gesto quindi non proprio antifemminista.
Due. Antonio Polito riferisce (Corriere della sera, 2021, p. 16 ) che dai filmati emerge… una versione ben diversa da quella che Michel ha tentato di accreditare. E cioè: «con una improvvisa accelerazione [Michel] sorpassa la collega come volesse arrivare primo all’unica poltrona e una volta seduto non fa niente per cambiare la situazione». In proposito l’ex vice ministro degli esteri Mario Giro ha rilevato: «il presidente Michel doveva alzarsi ed offrire la sua sedia a von der Leyen. Ora si dovrebbe dimettere».
Tre. Risolutivi chiarimenti vengono offerti però dalla foto dell’incontro di vertice. L’immagine fatta circolare ovunque con la presidente Ursula isolata su un divano, quale supporto del supposto sgarbo inflitto alla presidente europea, non riflette il vero perché è «tagliata». L’immagine intera mostra la sala in cui si sono svolti i colloqui ufficiali allestita con due poltrone affiancate e due divani l’uno di fronte all’altro. Davanti a ciascuna delle quattro postazioni era allestito un microfono. Tale è il quadro in caso di incontri che prevedono la presenza di capi di stato insieme a rappresentanti dei rispettivi governi: poltrone per i capi di stato, divani (perché i componenti dei governi possono essere più di uno) che si fronteggiano .
A livello europeo – si osserva – il ruolo di capo di stato viene riconosciuto al presidente del consiglio europeo (principale organo decisionale comunitario), mentre il governo è rappresentato dalla commissione (organo esecutivo della Ue). L’ordine di precedenza vede nel cerimoniale italiano (articolo 8, comma 2, del testo coordinato dei Dpcm che attengono alle «Disposizioni generali in materia di cerimoniale e disciplina delle precedenze tra le cariche pubbliche») il presidente del consiglio europeo precede quello della commissione. Tale disposizione, secondo il professor Aloisio della università di Modena, sembra coerente con il cerimoniale dell’Ue. Infatti, secondo l’articolo 13 del trattato sull’Unione europea, la commissione è in realtà al quarto posto nell’ordine di precedenza tra i dignitari delle istituzioni europee» dietro al parlamento, al consiglio europeo e al consiglio dell’Ue (Politico.UE, 7 aprile 2021). Questa impostazione non è generalmente accolta. Ma lo stesso Junker ha affermato che, quando ha viaggiato con i presidenti del consiglio europeo durante il suo periodo alla guida della commissione, era «chiaro per tutti che, da un punto di vista protocollare, il presidente del consiglio è il numero uno e il presidente della commissione è il numero due».
«Quando viaggiavo con Donald Tusk o Herman van Rompuy, ho sempre rispettato quell’ordine del protocollo», ha detto Juncker a Politico.eu in un’intervista telefonica, riferendosi ai due ex presidenti del consiglio. «Normalmente avevo una sedia accanto a quella del presidente del consiglio, ma a volte capitava che fossi seduto su un divano».
La squadra di Michel insiste che tutto è andato secondo il protocollo, poiché il presidente del consiglio è più in alto nell’ordine gerarchico diplomatico. Ma il portavoce capo della commissione Eric Mamer ha affermato che von der Leyen «avrebbe dovuto sedere esattamente nello stesso modo del presidente del consiglio europeo e del presidente turco». Sorprende che, invece di risolvere con riserbo e solerzia la questione, le divergenze siano portate «in piazza». Con quale decoro per la Ue è facile immaginare. Tra le due cariche sussistono tensioni alimentate dalla «coabitazione». E per Polito emerge il «sospetto» che il comportamento di Michel sia «frutto del braccio di ferro sotterraneo che da sempre impegna i vertici della Ue».
Incontri internazionali come quello di Ankara vengono preparati con ogni cura dalle parti in causa. Ogni dettaglio, diversi giorni prima dell’appuntamento, viene minuziosamente concordato. Ebbene, come rileva Alberto d’Argenio, corrispondente da Bruxelles di Repubblica, «tutti gli indizi portano agli agenti del protocollo di Michel, l’unico ad avere gestito la trasferta in assenza di quello di von der Leyen e, secondo i turchi, ad avere concordato i format. Un sospetto avvalorato dall’ambasciatore Ue ad Ankara Nikolau Meyer-Landrut, che ha fatto sapere di non essere stato coinvolto nella organizzazione del protocollo, gestito dallo staff di Michel». E la diplomazia turca ha buon gioco nello spiegare che «la delegazione europea non ha chiesto una diversa disposizione delle sedie. Ci aspettavamo che i due ospiti si fossero accordati fra loro». Sottolinea lo stesso ministro degli esteri turco, Mevlüt Çavuşoğlu, non smentito da alcuno: «Abbiamo accolto le richieste degli europei» sul protocollo». Aggiungendo successivamente, in altra circostanza: «Arrivano accuse estremamente ingiuste contro la Turchia che è uno stato dalle radici profonde che non accoglie un ospite per la prima volta, così come non è la prima volta che viene effettuata una visita in Turchia». Anche qui, senza rettifiche o smentite.
Altro che la goffa giustificazione, addotta da Michel, sulla «interpretazione rigorosa del protocollo» da parte turca che avrebbe «prodotto una situazione spiacevole». E comunque gli europei dov’erano? Spiega ancora il ministro degli esteri di Ankara Mevlüt Çavuşoğlu: «Le richieste fatte dalla parte Ue sono state soddisfatte. Ciò significa che la disposizione dei posti a sedere è stata realizzata secondo i loro suggerimenti». Çavuşoğlu poi ribadisce che non esiste un protocollo turco a sé stante per le visite dei leader stranieri ma c’è sempre un coordinamento tra le regole internazionali e l’ospitalità nazionale. «E anche stavolta» – conclude il ministro – «si è agito così».
E qui non si può sottacere che la presidente von der Leyen evidentemente non ha peccato in eccesso di preventiva prudenza e avvedutezza mancando di affiancare i funzionari del suo cerimoniale a quelli di Michel e soprattutto di verificare le intese raggiunte in quel contesto per i molti e delicati profili relativi ai rapporti dialettici tra le due istituzioni europee (non meritevoli di negative esposizioni) e per il grande rilievo dell’incontro internazionale che ha comportato «mesi di preparativi e sforzi politici e diplomatici», e nell’ambito del quale il rispetto del prestigio degli interlocutori riveste il suo peso. «Protocol is politics» ha affermato Wolfgang Ischinger, capo della conferenza sulla sicurezza di Monaco. Invece, rileva Emma Bonino, «sembra evidente che ci sia un vulnus e che certe missioni andrebbero preparate con maggiore attenzione anche ai dettagli».
A dare forza alle precisazioni turche ci sono precedenti: il 16 novembre 2015 Donald Tusk, presidente del consiglio europeo, e Jean-Claude Juncker, presidente della commissione europea, incontrarono Recep Tayyip Erdogan, presidente della Turchia, a margine del vertice del G20 ad Antalya. Trovarono una sedia per ciascuno, accanto a quella di Erdogan.
Von der Leyen ha spostato l’attenzione mediatica sul piano della discriminazione sessista. Puntualizza al riguardo Carlo Marsili, ambasciatore italiano ad Ankara per molti anni: «Il sesso non c’entra , le visite di donne ai vertici in Turchia sono all’ordine del giorno, basti pensare alla cancelliera Merkel». E la donna Merkel venne accolta con tutti i riguardi. «Quando si prepara una visita ci sono due parti che decidono minuto per minuto ciò che succede: uno è il protocollo locale, in questo caso turco, l’altro è l’ambasciata della delegazione ospite», sottolinea Marsili. Confermando la versione del ministro turco Mevlüt Çavuşoğlu. I turchi, prosegue l’ambasciatore italiano, in questi casi «vogliono sapere chi è il capo delegazione per una questione di protocollo. Se Michel e von der Leyen erano sullo stesso livello , allora bastava farlo presente». Come avvenne nel 2015.
C’ è una sorta di controprova che offre fondamento alle conclusioni cui si perviene da quanto esposto.
Il capo del protocollo del consiglio europeo, Dominique Marro, giustifica l’accaduto adducendo che ai funzionari Ue sarebbe stato negato l’accesso alla sala degli incontri e a quella del pranzo ufficiale. Qui il tavolo era stato apparecchiato per cinque persone su ciascun lato, con due poltrone d’onore, una per il presidente Charles Michel ed una per il presidente Erdogan, seduti uno davanti all’altro. A von der Leyen era stata riservata una sedia alla destra di Michel. L’imbarazzo in cui per la seconda volta si sarebbe trovata la presidente della commissione Ue è stato sventato dagli europei sostituendo all’ultimo momento la sedia con una di «pari dignità di quella che Michel voleva riservare solo a sé». Ma se l’accesso alla sala era inibito, come accorgersi della impropria collocazione dei posti? Più verosimile che dopo la reazione del mattino di von der Leyen i piazzamenti , già da tempo concordati e predisposti graficamente, siano stati appunto corretti per non provocare altri guai.
La tesi dunque di uno «sgarbo» intenzionale turco nei confronti di Ursula von der Leyen non appare suffragata da riscontri. Peraltro a quale obiettivo turco corrisponderebbe un siffatto atteggiamento quando gli interessi in gioco tra Turchia e Unione europea attengono agli scambi commerciali, alla gestione dei flussi migratori, agli equilibri interni alla Nato e all’area del Mediterraneo? E quando Erdogan ha tutto l’interesse ad allentare le tensioni con i partner internazionali. Stando così le cose non solo Polito conclude che «lo scandalo ce lo saremmo cucinati in casa», ma anche padre Claudio Monge, direttore a Istanbul del Centro domenicano per il dialogo interreligioso, ha sostenuto: «È stata una gaffe del protocollo dell’Ue».
Tempo addietro, in occasione della cerimonia di consegna, presso l’ambasciata di Turchia, di un consistente dono di mascherine del governo turco alla Repubblica di San Marino, l’ambasciatore della antica repubblica ebbe a sottolineare che «anche laddove non sussistano coincidenza di vedute o insorgano differenti valutazioni sui valori cui l’umanità deve ispirarsi, ritengo che i problemi non vadano gestiti frapponendo muri ma, come sostiene anche una elevatissima autorità spirituale, gettando ponti per alimentare comprensione ed accrescere le aree di condivisione».
Tanto più poi se si sostiene che, pur nella espressione delle «proprie diversità di vedute», occorre essere «pronti a cooperare per gli interessi del proprio paese». E se vengono mosse accuse preconcette e facilmente confutabili si deprime anche l’incidenza delle ragioni valide e dei valori che l’Europa tende ad affermare.
Giorgio Girelli
Coordinatore del Centro studi sociali «Alcide De Gasperi» (Pesaro)
Da www.altrogiornalemarche.it di lunedì 21 giugno 2021
Nella foto: Angela Merkel e Recep Tayyp Erdogan