Pandemia da vacanza

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Ospitata dal Corriere della Sera la lettera di una ventenne, Martina, che confessa la responsabilità di aver infettato la famiglia per aver partecipato a una festa, incurante delle cautele che la pandemia, mai risolta, imporrebbe. Sia ovviamente preliminare a ogni riflessione l’auspicio che il padre di Martina, da due settimane in terapia intensiva, possa superare l’attuale difficile momento e recuperare la piena salute. Ma una parola critica deve tuttavia spendersi, essendo evidente il rilievo sociale della vicenda narrata nella lettera di oggi, 24 agosto, il cui significato va bene al di là del doloroso fatto privato.

Rifiutando le immancabili esortazioni buonistiche a non colpevolizzare i giovani, è dunque legittimata la più severa critica nei confronti di quell’ampia fascia giovanile, interpretata dalla lettera, che sull’altare dell’estate in discoteca, o nelle varianti di movida, ha sacrificato doverosi comportamenti sociali di civile prudenza. Con il risultato che si sono, in parte almeno, compromessi i risultati di una clausura anti Covid 19 non certo priva di rilevanti sacrifici collettivi.

Ma è soprattutto sconfortante l’immaturità irresponsabile di cui migliaia di giovani hanno dato prova, rivelando un irrecuperabile vuoto morale. La discoteca che stordisce sembra confondersi con il vivere, e la rinuncia sarebbe il negativo sopravvivere, secondo quanto di recente teorizzato da tale Cecchetto che spudoratamente ha ignorato una elementare misura di rispetto verso le sofferenze causate dal virus. Quindi poco rilevano le esigenze altrui, basta scacciare la paventata noia dell’estate.

Già, la noia dell’estate che non si può affrontare con una vacanza sobria o magari con uno straordinario impegno di studio a compensare i mesi trascorsi a coltivare l’ignoranza. Mascherata, si noti amaramente, da un’inflazione di promossi e di fasulli 100 e lode alla maturità. Conseguita in un esame  – di Stato purtroppo – autentica burletta, grazioso dono a innumerevoli «studenti» dotati ora del «pezzo di carta». Smarrisce pensare come si stia formando la classe dirigente di domani. Purché sia salvo il culto dell’artificiale euforia,estranea a un pensiero appena civile, già abbondantemente ignorato da una scuola da anni inadeguata a preparare decorosamente, funzione, questa, inseparabile dalla formazione di una seria coscienza civile. Si sono privilegiate quelle facili opzioni di demagogico, comunque assolutorio «ascolto», caro a un don Mazzi che tempo addietro si fece ideologico vanto, da insegnante, di aver sempre rinunciato a occupare la cattedra.

Appare irrimediabilmente lontana quella scuola che i giovani – parole di  Benedetto Croce – dovrebbe «ammonire e istruire e disciplinare per il bene loro e dell’avvenire che a loro appartiene e non già tradire adulandoli nella loro inesperienza,ignoranza e naturale baldanza».

In quella adulazione è larga parte del dissesto morale e civile che la pandemia da vacanza oggi scopre.

Giovanni Corradini

Nella foto: movida al centro