Obama protegge l’Artico

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A un mese esatto dall’insediamento del suo successore, Barack Obama cerca di vincolarne le decisioni vietando in modo permanente ogni trivellazione in cerca di giacimenti di gas o di petrolio in vaste zone dell’oceano Atlantico e del mare Artico. Il provvedimento investe un’area che supera i cinquanta milioni di ettari e che si trova al largo dell’Alaska, comprendendo tutte le acque territoriali statunitensi del mare dei Čukči e buona parte di quelle del mare di Beaufort. Sono stati anche individuati nello stesso oceano trentuno canyon sottomarini nei quali viene proibita ogni attività petrolifera. In contemporanea, il premier canadese Justin Trudeau ha annunciato una moratoria sulla concessione di nuovi permessi di esplorazione nell’Artico appartenente al suo territorio, raccogliendo il consenso degli ecologisti.

         Donald Trump, che ha manifestato intenzioni di segno opposto, vorrà molto probabilmente revocare il provvedimento, ma il suo cammino non sarà facile. Obama si è avvalso di una legge del 1953 (Outer continental shelf lands act) che attribuisce ai presidenti il potere di proteggere le acque territoriali da ogni tipo di attività estrattiva di idrocarburi. Il congresso a maggioranza repubblicana potrà modificare la legge del 1953, che se resterà in vigore precluderà al nuovo presidente ogni possibilità di intervento. Soccorre anche in questo caso il sistema bicamerale, perché per una decisione così impegnativa è stabilito al senato un quorum del sessanta per cento che per il momento i repubblicani non hanno. Non basta, come per esempio avviene da noi per le leggi costituzionali, la maggioranza assoluta, sia pure temperata dalla successiva possibilità di referendum: la maggioranza qualificata è tassativamente imposta e non consente alternative o vie di fuga, a garanzia dell’interesse generale come si addice a un ordinamento genuinamente democratico e consolidato nella legislazione e nella prassi attraverso i secoli.

         Obama ha dichiarato che il provvedimento serve a proteggere un ecosistema fragile e unico che non si trova in alcun’altra regione del mondo, ma ha anche ammonito che non è il caso di farsi illusioni. Infatti, nonostante le severe misure di sicurezza adottate dai due paesi, il rischio di uno sversamento di petrolio rimane sempre elevato. Nella ipotesi che il congresso statunitense si determinasse ad abrogare o a modificare la legge del 1953, bisognerebbe verificare la sussistenza dei residui poteri presidenziali. In ogni caso la decisione impegnerebbe soltanto gli Stati Uniti, che non hanno alcun potere di influenza sulla sovranità canadese. (lsb)

 

N°104 mercoledì 21 dicembre 2016