Liberali inconsapevoli

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Perché in Italia anche la destra è di sinistra? Perché dalla fondazione della Repubblica è venuto a mancare un forte partito liberale, nonostante l’opera di Croce ed Einaudi, i giganti che hanno incarnato il liberalismo italiano.

Infatti, in età repubblicana, una vera destra liberale, come la destra storica, cavouriana, risorgimentale, governante, non c’è mai stata e non c’è. Per comodità espositiva vorrei qui premettere un istruttivo ricordo personale. Non so se sia dipeso dal fatto che, in tempi non sospetti (1984), definii il sistema politico italiano «la democrazia illiberale», ma sta di fatto che il sistema politico italiano allora m’insultava con l’epiteto «anticomunista viscerale» e adesso m’ingiuria con «liberista selvaggio»: due gratificazioni che provengono equanimemente dalla destra, dal centro, dalla sinistra, i cui esponenti hanno preso a rimasticare altre pseudonovità dopo il crollo del bolscevismo in Russia e nell’Est Europa. Alle due brucianti, umoristiche a parer mio, offese ricavate dalle interiora e dai cavernicoli, rispondevo e rispondo «anticomunista, sì; liberista, sì: ma cerebrale». Sebbene come piccolo esempio, l’aneddoto comprova tuttavia in modo esemplare che nella società italiana il liberalismo e il liberismo, schiettamente e coerentemente professati, sono considerati una bizzarria passatista, elitaria, plutocratica, ed espongono addirittura alle contumelie dei troppi che pretendono di avere in tasca la verità abilitante ad indirizzare il popolo verso la teoria e, se non presumessero, sarebbero fors’anche liberali loro malgrado, per quanto all’acqua di rose.

Dunque ha fatto benissimo Giancristiano Desiderio, essendone profondo conoscitore, a riportare in auge la celebre discussione tra Croce e Einaudi sul rapporto tra liberalismo e liberismo (Croce ed Einaudi. Teoria e pratica del liberalismo, Rubbettino, 2020, pagine 98, euro 10). Secondo quanto lascia intendere lo stesso titolo, la disputa non fu affatto una polemica tra posizioni irreconciliabili, come i più ottusi collettivisti osarono strumentalmente presentarla per screditare il liberalismo economico, così adulterando il credo di Croce sul concetto di libertà, assoluta ed etica. L’autore ripercorre il lungo rapporto Croce-Einaudi, che durò tutta la vita dei due pensatori e politici. Mai, ecco il punto fondamentale non abbastanza rilevato da altri, invece a ragione sottolineato da Desiderio, mai i due grandi furono separati da dissidi personali, intellettuali, politici. Furono amici l’un l’altro devoti, che si stimavano al massimo, senza riserve.

Agendo, praticavano il liberalismo; pensando, lo teorizzavano. Entrambi. Negli scritti come nella vita usavano trattarsi con amabilità e rispetto. Furono sempre, in pensieri ed opere, patrioti attestati fermamente sullo stesso lato della barricata nella temperie che improntarono da protagonisti. La loro condanna morale e politica dei totalitarismi, il comunismo e il nazionalsocialismo, fu irrevocabile quanto luminosa la loro cattedra di antifascismo. Rappresentarono il faro che orientò la coscienza e la condotta dei tanti che con loro ricostruirono moralmente e materialmente l’Italia devastata dalla guerra fascista.

«La civilissima discussione» tra i due grandi, che Desiderio analizza sui testi e nel contesto, costituisce ancora oggi una chiave per «schiarire e ingagliardire» quella che non mi stanco di chiamare «la libertà dei liberali», che è «naturale», per distinguerla (anche in omaggio ai due maestri che nel secolo scorso contribuirono a cesellarla) dalle numerose «libertà artefatte», in ogni tempo propalate dai sofisticatori politici.

Pietro Di Muccio de Quattro

Dal quotidiano L’Opinione delle Libertà di lunedì 9 marzo 2020

Nella foto: Giancristiano Desiderio