Non intendo farne una questione di destra o sinistra; e neppure di centro. Ma gli ultimi due vanti della politica laziale sono una metafora della mentalità giuridica italiana, un paradigma del nostro andazzo politico. I nostri governanti insorgono tanto contro l’ipertassazione, che strozza i contribuenti fedeli e frena lo sviluppo economico, quanto tuonano a favore della legalità, devastata da imbrogli, corruzione e mafie. Virtuose indignazioni, senza riscontro nella realtà. Infatti, come non mi stanco di ripetere, gl’Italiani sguazzano in una permanente condizione di semilegalità. Il fisco non conosce né misura né giustizia tributaria almeno come i rappresentanti e i rappresentati sconoscono lo Stato di diritto.
Il 30 gennaio lo ha proclamato «giornata storica» il presidente Nicola Zingaretti, mentre l’assessore alla Sanità Alessio D’Amato l’ha salutato al grido di «missione compiuta». Perché tanta enfasi per un giorno qualunque? Perché la sanità del Lazio è risanata. Ottimo! Eppure i due vantoni hanno taciuto e tacciono sulla salatissima addizionale progressiva Irpef pagata da anni per risanarla. Sicché è naturale chiedere a tali virtuosi amministratori quando l’aboliranno, mentre usurpano un merito spettante ai contribuenti, non a loro stessi che hanno fatto solo metà del dovere. Si gloriano seriamente di aver spremuto i contribuenti regionali, con la complicità di governi di sinistra, centro, destra, che gliene diedero l’arma tributaria. Temo che l’annuncio della cancellazione dell’odiosa addizionale non verrà. Sospetto che il relativo introito sarà dirottato (nonostante l’imposta fosse stata introdotta a quello specifico scopo, pare raggiunto) ad altri scopi forse non altrettanto indispensabili, per esempio le spese delle quali ogni Regione trucca l’utilità o esibisce lo spreco.
Il 20 febbraio, poi, sempre il Lazio ha approvato una norma che «regolarizza» la posizione di seimila inquilini di case popolari, benché fuori graduatoria. L’assessore alle Politiche abitative Massimiliano Valeriani ha spiegato così la «sanatoria», senza chiamarla così: «È una misura che esprime la volontà trasversale del Consiglio regionale, dal centrosinistra a FdI, a metà M5S (appunto l’arco regionale da sinistra a destra, n.d.r.). Il problema è gigantesco: dal 2007 a oggi più di settemila persone vivono in un immobile Ater pur non risultando assegnatarie, mentre sono migliaia quelle in lista d’attesa: trentamila hanno difficoltà con l’affitto, diecimila sono sotto sfratto esecutivo, dodicimila nelle occupazioni abusive: chi non vuole riconoscerlo è avulso dalla realtà» (Corriere della Sera, 22 febbraio 2020). Chi non «riconosce» tale fenomeno è forse avulso dalla realtà, ma chi lo «riconosce» forse è avulso dalla legalità, come ha dimostrato il Consiglio regionale, approvando la proposta dell’assessore. Prende l’illegalità effettiva a pretesto del diritto millantato. La leggina regionale non è meno devastante della situazione oggettiva. La proprietà pubblica viene così disamministrata dall’ente pubblico che dovrebbe tutelarla, mentre i legittimati ad abitare sono sacrificati agli illegittimi abitanti. Contro il più elementare senso giuridico, ope legis! A parte la Costituzione, la Giustizia, lo Stato di Diritto, l’indirizzo politico e legislativo è inoltre un potente fattore antisociale perché l’impunità garantita dall’autorità pubblica alla privata sopraffazione e la «legalizzazione» dei colpi di mano inducono altre migliaia di veri o presunti bisognosi ad impossessarsi degli alloggi altrui, incentivando abusi, violenze, frodi, che di fatto sono premiati anziché puniti. Una catena ininterrotta di malversazioni e soperchierie, con garanzia istituzionale.
Pietro Di Muccio de Quattro
Dal quotidiano L’Opinione delle Libertà di martedì 25 febbraio 2020
Nella foto: Massimiliano Valeriani