Conoscevamo Gemma Costa, anche con il nom de plume di Fiamma, avendo letto e apprezzato il suo volume presentato nell’ultima esposizione libraria romana. Sapevamo del suo impegno eclettico e tuttavia profondo in svariati campi artistici e professionali; ci era nota la sua particolare attenzione alle realtà socialmente fragili della periferia urbana. La seguivamo nelle sue interpretazioni dell’opera di Trilussa, sulle orme del padre Claudio che ne è eminente studioso e divulgatore.
Quello che ora ci colpisce è la scoperta di una Gemma-Fiamma che si presenta nella veste di autrice e interprete, insieme con Roberto Castello, dell’opera teatrale Il comandante Yoyò, andato in scena al teatro Il Cantiere di Trastevere, per la regia di Miranda Angeli e Andrea Aureli, con scenografia di Mattia Pisani e illustrazioni di Annarita Debellis. Ed è qui che abbiamo potuto cogliere l’occasione per la breve intervista che segue.
La conoscevamo per il suo impegno nella recitazione delle poesie di Trilussa e quindi nel campo dialettale. Ora si esprime in lingua: qual è il percorso che la orienta in questa direzione?
Continuo a coltivare il genere dialettale, toscano e soprattutto romanesco. Anzi intendo portare in scena un monologo da me composto proprio in questo idioma. Ma poi ho voluto ampliare il mio interesse verso orizzonti di maggiore coinvolgimento e l’uso della lingua nazionale mi consente di rivolgermi a un pubblico più vasto.
Lei è molto attenta al mondo dell’infanzia e lo ha dimostrato anche stasera con uno spettacolo ricco di spunti creativi e di suggestioni legate all’innocenza delle prime fasi esistenziali. Qual è, in particolare, lo spirito che la conduce in questa direzione?
Propongo il tema della fantasia a qualunque età, ma l’infanzia si presta di più a vedere le cose nel modo più autentico e originale. Trovo che poi si avverta l’assenza dello spazio dello stupore, che invece vorrei recuperare ed esaltare.
Possiamo cogliere qui il messaggio dello spettacolo cui abbiamo appena assistito?
Più che un messaggio è un approccio alla realtà della vita. Ho voluto mostrare la visione del mondo con gli occhi di un bambino e nello stesso tempo accostargli il fratello pronto a richiamarlo alla concretezza ma anche a spronarlo nel suo cammino esistenziale.
C’è spazio, in tale contesto, per riflessioni di maggiore impegno fino a sfiorare gli aspetti metafisici?
Qualche battuta l’ho infatti inserita nel dialogo tra i due protagonisti: il bambino e il fratello. Ognuno può fornire le proprie spiegazioni, ma è sempre il tema della fantasia a costituire la chiave di ogni evoluzione.
A questo proposito può concedersi qualche spazio alla mera fisicità?
Il confronto su questo piano induce il corpo a trasformarsi e in definitiva la persona a crescere in tutte le sue manifestazioni.
Se in altri tempi si enfatizzava la fantasia al potere, potremmo leggere un messaggio, questa volta sì, parlando di potere della fantasia?
Ma certo, in fondo può trovarsi così, anche se in maniera non esclusiva, il motivo della mia ispirazione e del mio impegno.
Lillo S. Bruccoleri
Nella foto: Gemma Costa