Le elezioni politiche svoltesi ieri in Romania hanno sancito la fine del governo tecnico di Dacian Ciolos che da un anno guida il paese. Il partito socialdemocratico era stato estromesso dal potere nel novembre dell’anno scorso dopo le proteste per la morte di sessantaquattro persone nell’incendio della discoteca di Bucarest risultata inadempiente rispetto alle necessarie misure di sicurezza. Ora il partito socialdemocratico ha ottenuto il 42 per cento dei voti, seguito dal partito nazionale liberale che si è fermato al 19 per cento. L’affluenza alle urne è stata bassa: appena il 30,33 per cento degli aventi diritto.
La campagna elettorale ha soltanto sfiorato i problemi della corruzione e della pessima situazione economica. Il partito socialdemocratico è tuttavia riuscito a convincere gli elettori promettendo di aumentare la spesa sul welfare e di alzare il tenore di vita del paese, che rimane uno dei più poveri dell’Unione europea. L’obiettivo dichiarato era quello di completare il processo di decentramento e regionalizzazione. Per parte loro, i liberali hanno insistito sulla necessità di eliminare l’immunità per i titolari di cariche politiche accusati di corruzione. I cittadini non hanno dato peso a questi propositi, o forse non hanno creduto alla sincerità degli intendimenti.
La questione morale si pone ora al centro dell’attenzione perché il presidente Klaus Iohannis ha previamente dichiarato che non darà l’incarico a nessuno che abbia processi penali pendenti. In questa situazione si trova il leader del partito vincitore delle elezioni, Liviu Dragnea, condannato quattro anni fa per frode elettorale. Per la individuazione del prossimo premier si fanno i nomi di Vasile Dancu e George Maior.
N°95 lunedì 12 dicembre 2016