Autorità, Signori Partecipanti, Signore, Signori,
per la prima volta la presentazione delle considerazioni finali non si svolge in coincidenza con l’Assemblea dei Partecipanti che esamina e approva il bilancio della Banca d’Italia. L’assemblea, lo rammento, si è tenuta lo scorso 28 aprile; dal prossimo anno si terrà entro la fine del mese di marzo, secondo quanto previsto dal nuovo Statuto, coerentemente con l’esigenza, emersa nell’ambito dell’Eurosistema, di approvare e pubblicare i bilanci delle banche centrali dell’area dell’euro entro una comune scadenza. I risultati di bilancio sono quindi noti; li richiamo in breve. Gli interventi di politica monetaria realizzati in risposta alla crisi hanno determinato una crescita e una ricomposizione senza precedenti degli attivi delle banche centrali nazionali, con un incremento per la Banca d’Italia di 57 miliardi nel 2015; il risultato lordo d’esercizio è stato di circa 6 miliardi, pressoché invariato rispetto al 2014. In considerazione dell’ampliamento delle dimensioni del bilancio e dei rischi connessi con la progressiva attuazione dei programmi di acquisto di titoli per finalità di politica monetaria, il fondo rischi generali è stato alimentato per 2,2 miliardi. A fronte di un utile netto di 2,8 miliardi, 300 milioni sono stati assegnati alla riserva ordinaria e 340 distribuiti ai partecipanti sotto forma di dividendo, somma invariata rispetto allo scorso anno; sono stati riconosciuti
allo Stato 2,2 miliardi, in aggiunta a imposte per un miliardo. Il periodo transitorio concesso dal legislatore ai Partecipanti per cedere le quote del capitale della Banca eccedenti il limite del 3 per cento termina alla fine di quest’anno. Le vendite fino ad aprile hanno trasferito quasi il 14 per cento del capitale a 50 nuovi Partecipanti. È stato costituito uno schema per dare liquidità al mercato secondario delle quote. Nella gestione interna la Banca ha perseguito gli obiettivi strategici di consolidare e rafforzare il proprio ruolo nell’Eurosistema, migliorare i servizi alla collettività, innalzare l’efficienza nell’uso delle risorse. Quest’anno presenterò in Parlamento la Relazione con la quale l’Istituto dà conto periodicamente, a termini di legge, delle proprie attività. Mi soffermo in questa sede sui fatti più importanti.
Nel 2015 abbiamo attuato un nuovo intervento di razionalizzazione della
rete territoriale, per accrescere la qualità dei servizi offerti e al tempo stesso
conseguire risparmi permanenti. Con la chiusura di 19 filiali e 3 divisioni
distaccate, individuate tenendo conto della domanda di servizi da parte del
territorio, la rete è ora composta da 39 filiali; erano 97 nel 2008. Superata
definitivamente l’articolazione provinciale, nella nuova configurazione assu-
mono un ruolo centrale le filiali insediate nei capoluoghi di regione.
Si accrescerà il contributo delle filiali di maggiori dimensioni alla vigilanza
sugli intermediari finanziari, alla tutela della clientela bancaria, alle operazioni
di politica monetaria, alla gestione della circolazione delle banconote e delle
monete. Per corrispondere alla crescente domanda da parte dei cittadini, entro
la fine del 2016 saranno costituiti quattro nuovi collegi dell’Arbitro Bancario
Finanziario che opereranno presso le Sedi di Bari, Bologna, Palermo e Torino,
affiancandosi ai tre già operanti a Milano, Napoli e Roma.
Dopo un articolato confronto con i sindacati, abbiamo profondamente
innovato gli ordinamenti del personale. La riforma riduce i livelli gerarchici,
favorisce l’organizzazione del lavoro per obiettivi e prevede la durata
predeterminata degli incarichi dirigenziali, la valutazione dei comportamenti
manageriali da parte di pari e collaboratori, una forte attenzione per le diverse
capacità e professionalità presenti in Banca. Il nuovo assetto mira a stimolare
la crescita costante del capitale umano, favorire il ricambio generazionale,
incoraggiare l’assunzione di responsabilità, snellire i processi decisionali.
Per realizzare un ambiente di lavoro che assicuri alle persone rispetto,
inclusione e benessere, l’Istituto ha inserito l’obiettivo della valorizzazione
delle diversità nel piano strategico adottato per il triennio che si sta per
concludere. In questa linea, la Banca è già pronta a dare piena attuazione ai
principi contenuti nella legge che ha da poco introdotto e regolamentato le
unioni civili e rafforzato la disciplina delle convivenze.
La vigilanza unica europea opera a pieno regime dal novembre del 2014.
Gli uffici della Banca centrale europea e quelli delle autorità di supervisione
nazionali collaborano strettamente; i gruppi congiunti di vigilanza, incaricati
della supervisione sui principali intermediari, agiscono in un contesto orga-
nizzativo che valorizza la pluralità di esperienze. Siamo impegnati, insieme
con le altre autorità del sistema, a garantire il pieno sviluppo di prassi di vigi-
lanza comuni.
Dopo la designazione della Banca quale autorità nazionale di risoluzione
delle crisi bancarie nell’ambito del nuovo Meccanismo europeo, abbiamo
creato un’Unità organizzativa alle dirette dipendenze del Direttorio. L’Unità
interviene nella gestione delle crisi, collabora con il Comitato di risoluzione
unico, governa le procedure di liquidazione di banche e intermediari finanziari.
La Banca d’Italia opera nel sistema italiano di prevenzione del riciclaggio
e del finanziamento del terrorismo, direttamente con la Vigilanza e per il
tramite della Unità di informazione finanziaria (UIF). La valutazione del
sistema recentemente condotta dal Gruppo d’azione finanziaria internazionale
(GAFI) ne ha riconosciuto l’efficacia e la piena conformità agli standard
globali; le competenze e l’autonomia di cui dispone la UIF la rendono
essenziale supporto per indagini e processi. Interventi normativi mirati, in
coerenza con le indicazioni del GAFI, potranno utilmente essere realizzati in
sede di recepimento della IV Direttiva antiriciclaggio. Nel 2015 è proseguita
la forte crescita delle segnalazioni di operazioni sospette; si sono intensificate le
collaborazioni con le altre autorità italiane ed estere, divenute particolarmente
importanti anche ai fini del contrasto al finanziamento del terrorismo.
Nel giugno del 2015 ha preso avvio la piattaforma europea per il regolamen-
to in moneta di banca centrale delle transazioni in titoli (TARGET2-Securities),
che la Banca d’Italia gestisce insieme con la Deutsche Bundesbank. Il varo di
questa complessa infrastruttura, al cui sviluppo hanno partecipato le banche
centrali di Francia e di Spagna, è avvenuto con successo; il sistema italiano ha
aderito il 31 agosto. Entro la fine del 2017 la piattaforma regolerà le transa-
zioni in titoli in 21 paesi. È un passo importante nella direzione di una piena
integrazione dei mercati finanziari europei. Con la realizzazione di questo
progetto si consolida il ruolo da tempo svolto dall’Istituto nella fornitura
di servizi a forte contenuto tecnologico per l’Eurosistema, come il sistema
TARGET2 per i pagamenti all’ingrosso dell’area.
Abbiamo accresciuto la nostra presenza sui mezzi di informazione.
I gravi eventi che hanno interessato alcune banche italiane ci hanno indotto
a intensificare l’impegno nel rendere conto, in termini rigorosi sul piano
tecnico e il più possibile chiari, della nostra azione di vigilanza, delle posizioni
assunte, d’intesa con il Governo, nel confronto con le istituzioni europee. Il
sito internet è stato il principale canale utilizzato per diffondere documenti,
note di approfondimento, interventi. Abbiamo riferito in Parlamento, in
audizioni nell’ambito di indagini conoscitive mirate. Siamo consapevoli
dell’importanza di una comunicazione tempestiva ed efficace e ci adoperiamo
per accrescerne la qualità, pur dovendo tenere conto dei vincoli di riservatezza
imposti dalla legge nazionale e dalle norme europee a tutela dell’efficacia
dell’azione preventiva di vigilanza e delle eventuali indagini giudiziarie.
In un anno ancora molto impegnativo tutte le persone che lavorano in
Banca d’Italia hanno continuato a dare prova di elevata professionalità e di un
alto senso di responsabilità. Non è una formalità esprimere loro in questa sede
il profondo apprezzamento del Direttorio e mio personale.
La risposta della politica monetaria ai rischi di deflazione
Nonostante segnali di rafforzamento nel primo trimestre di quest’anno,
l’economia dell’area dell’euro resta esposta ai rischi provenienti dal contesto
globale. L’indebolimento del commercio si protrae; permane l’incertezza sulla
capacità della Cina e di altri paesi emergenti di evitare un deciso rallentamento
delle rispettive economie. Nell’area dell’euro la domanda interna dovrà
consolidarsi ancora per sopperire alla debolezza di quella estera.
Persistono timori dei mercati sulle prospettive del sistema bancario
europeo. Essi sono alimentati, oltre che dalle incertezze sull’evoluzione del
quadro macroeconomico, da quelle sull’orientamento della regolamentazione
e dall’assetto ancora incompleto dell’Unione bancaria. In alcuni paesi le
difficoltà economiche e di finanza pubblica si intrecciano con elementi di
instabilità politica; in molti si rafforzano sentimenti ostili al progetto europeo.
Un eventuale esito negativo del referendum sulla permanenza del Regno
Unito nell’Unione europea potrebbe creare profonda instabilità.
Per la politica monetaria la sfida principale resta il permanere dell’inflazione
su livelli eccessivamente bassi; la variazione dei prezzi è tornata negativa nei
primi mesi di quest’anno. Il fenomeno non è limitato all’area dell’euro, è
connesso in larga parte con il calo del prezzo del petrolio, ma dipende anche,
in misura rilevante, da dinamiche interne: i margini inutilizzati di capacità
produttiva e di forza lavoro sono più ampi che in altre economie avanzate.
Come ho più volte ricordato in questi ultimi anni, al pari di un’inflazione
eccessivamente elevata, anche una dinamica dei prezzi troppo contenuta è
dannosa per la stabilità economica e finanziaria, soprattutto quando i debiti
pubblici e privati sono alti e la crescita è debole. Interventi decisi mirano
a scongiurare il rischio che le aspettative di inflazione si discostino per un
periodo prolungato dal livello coerente con l’obiettivo della banca centrale.
Nell’area dell’euro la risposta delle aspettative a più lungo termine alla caduta
di quelle a breve, molto bassa in circostanze normali, rimane elevata, anche
se inferiore ai livelli raggiunti tra la fine del 2014 e l’inizio dello scorso anno.
Abbiamo agito con determinazione per favorire il ritorno alla stabilità dei
prezzi; come ribadito dal Consiglio direttivo della Banca centrale europea in
occasione della sua ultima riunione di politica monetaria, se necessario per
il conseguimento di questo obiettivo agiremo ancora ricorrendo a tutti gli
strumenti disponibili nell’ambito del nostro mandato. I tassi ufficiali sono stati
ridotti a più riprese, portando su valori negativi la remunerazione dei depositi
delle banche presso l’Eurosistema. All’inizio del 2015 il Consiglio direttivo
ha esteso ai titoli pubblici il programma di acquisto di attività finanziarie;
a dicembre la durata del programma è stata allungata, almeno fino alla fine
del primo trimestre del 2017; lo scorso marzo abbiamo deciso di innalzare
l’importo mensile degli interventi e di acquistare, da giugno, anche i titoli di
imprese non finanziarie di adeguata qualità. Abbiamo inoltre introdotto nuove
operazioni di rifinanziamento a lungo termine con condizioni premianti per
gli intermediari che forniranno più credito all’economia.
Si tratta di misure di portata eccezionale. Gli acquisti di attività finanziarie
hanno raggiunto il 9,4 per cento del prodotto dell’area lo scorso 20 maggio,
si porteranno al 17 per cento nel marzo 2017. Negli altri principali paesi
avanzati gli interventi delle banche centrali hanno assunto dimensioni ancora
più ampie: circa il 20 per cento del PIL negli Stati Uniti e nel Regno Unito,
più del 60 in Giappone.
L’evidenza attesta l’efficacia delle misure espansive. Il costo del credito
all’economia si è ridotto e la frammentazione finanziaria nell’area dell’euro
si è attenuata. Le misure hanno favorito la flessione dei rendimenti e hanno
sostenuto i prezzi di una vasta gamma di attività finanziarie, con riflessi positivi
sui consumi, attraverso effetti ricchezza, e sugli investimenti, attraverso la
riduzione del costo del capitale. Hanno alimentato la fiducia di imprese e
famiglie. Secondo le nostre stime, in assenza delle misure di politica monetaria
introdotte tra la metà del 2014 e la fine del 2015 sia il tasso di crescita annuo
dei prezzi sia quello del prodotto sarebbero inferiori, nell’area, di circa mezzo
punto percentuale nel triennio 2015-17. Per l’Italia, gli effetti stimati sono
più pronunciati.
L’orientamento molto espansivo della politica monetaria è il risultato
di decisioni meditate, riflette la debolezza dell’economia e il rischio di
deflazione. I timori espressi da alcuni osservatori che una lunga fase di tassi di
interesse molto bassi possa avere effetti destabilizzanti sui mercati finanziari,
ripercuotersi sfavorevolmente sui profitti delle banche e di altri intermediari o
avere implicazioni distributive non desiderate vanno attentamente considerati;
non devono però essere sopravvalutati.
Al momento, nell’insieme dell’area dell’euro non vi è evidenza di rialzi
eccessivi dei corsi di azioni e obbligazioni societarie, né dei prezzi delle
abitazioni. Anche la dinamica del credito rispetto alla posizione ciclica
dell’economia è contenuta. Eventuali rischi in settori specifici possono
essere affrontati con strumenti selettivi di natura macro-prudenziale, come
già è accaduto in alcuni paesi, senza interferire con l’orientamento della
politica monetaria.
Tassi di interesse molto bassi o negativi possono incidere sfavorevolmente
sulla redditività di investitori istituzionali e banche. Per fondi pensione e
compagnie assicurative i rischi derivano da disallineamenti della durata
finanziaria e dei rendimenti delle attività e delle passività di bilancio che possono
richiedere una maggiore diversificazione dei portafogli, rafforzamenti dei buffer
patrimoniali, adeguamenti contrattuali. Per le banche, l’abbassamento dei
tassi comprime i margini di interesse ma, oltre a determinare nell’immediato
plusvalenze sul portafoglio titoli, ha effetti positivi sulla domanda di prestiti
e sulla qualità del credito. L’impatto differisce a seconda delle specifiche
caratteristiche degli intermediari; le informazioni disponibili per le banche
dell’area dell’euro mostrano che finora gli effetti complessivi sui profitti sono
stati contenuti.
Nell’attuale situazione congiunturale i principali rischi per la stabilità
finanziaria, per la redditività di intermediari e imprese, per gli stessi redditi delle
famiglie continuano a derivare dalle incerte prospettive macroeconomiche e dal
persistere dell’inflazione su livelli eccezionalmente contenuti. Il rafforzamento
dell’economia costituisce la via maestra per favorire il rialzo dei rendimenti a
medio e a lungo termine e contenere i rischi per la stabilità finanziaria.
Tutte le politiche economiche devono contribuire a questo obiettivo. La
politica monetaria deve essere accompagnata da politiche di bilancio coerenti
con le condizioni cicliche e con la posizione patrimoniale di ciascun paese e
da interventi di riforma volti a innalzare stabilmente il potenziale di crescita
e di creazione di posti di lavoro.
L’economia italiana tra ripresa e fragilità
Nel 2015 l’economia italiana è tornata a crescere per la prima volta
dall’avvio della crisi del debito sovrano. Vi sono chiari segnali positivi,
soprattutto per la domanda interna. L’attività economica rimane però lontana
dai livelli precedenti la crisi; è soggetta alle stesse incognite che gravano
sull’economia globale ed europea.
La ripresa, inizialmente concentrata nell’industria manifatturiera, si è poi
estesa ai servizi e, pur con qualche incertezza, al settore delle costruzioni. Il
miglioramento del mercato del lavoro e le misure di sostegno al reddito varate
dal Governo si stanno riflettendo favorevolmente sui consumi.
Dopo una prolungata contrazione, si è gradualmente riavviata l’accu-
mulazione di capitale. Le nostre indagini segnalano un’ulteriore espansione
dei piani di investimento delle imprese nell’industria manifatturiera e nei
servizi. L’espansione riguarda anche le imprese industriali orientate al mercato
interno. Vi contribuiscono il miglioramento delle condizioni di finanzia-
mento e gli incentivi fiscali temporanei in vigore dalla fine del 2015; nella
nostra valutazione, questi ultimi potrebbero nel complesso innalzare l’inve-
stimento in capitale produttivo di 2,5 punti percentuali nel biennio 2016-17.
La contrazione dei prestiti alle imprese si è pressoché arrestata. Le banche
cercano attivamente di impiegare l’elevata liquidità a loro disposizione soprat-
tutto in finanziamenti alla clientela in più solide condizioni patrimoniali, in
particolare a quella di maggiori dimensioni e operante nel settore manifattu-
riero. Il costo del credito si è sensibilmente ridotto, sia per le grandi imprese
sia per quelle di dimensioni minori.
In rapporto al PIL, gli investimenti restano però ancora molto al di sotto
dei valori osservati prima della crisi, su livelli minimi nel confronto storico.
In prospettiva, l’andamento della domanda estera è il principale fattore di
incertezza: secondo le imprese si sono intensificati i rischi geopolitici, che
hanno un impatto negativo sull’attività economica, sia per l’effetto diretto sulle
esportazioni, sia per la maggiore cautela che inducono nei piani di investimento.
Come più volte e da più parti osservato, un rilancio degli investimenti
in costruzioni, indirizzato soprattutto alla ristrutturazione del patrimonio
esistente, alla valorizzazione delle strutture pubbliche e alla prevenzione dei
rischi idro-geologici, avrebbe effetti importanti sull’occupazione e sull’attività
economica. Nel nostro paese è infatti elevata la quota di territorio destinata a
urbanizzazione, ma è ampia la presenza di immobili e infrastrutture degradati,
così come modesti sono i progressi sinora conseguiti nella tutela dell’ambiente e
nell’efficienza energetica. L’ammodernamento del patrimonio urbanistico passa
anche attraverso iniziative legislative, che puntino a un più efficace raccordo tra
il quadro normativo nazionale e quello locale e alla creazione di condizioni più
favorevoli per gli investimenti di operatori privati. La sua realizzazione richiede
una condivisione diffusa, al pari di quella necessaria per preservare e valorizzare
la straordinaria ricchezza naturale e artistica di cui l’Italia è dotata.
I segnali di miglioramento dell’economia hanno cominciato a estendersi
al Mezzogiorno; ciò nonostante, i divari rispetto al resto del Paese hanno
continuato ad ampliarsi. In base alle prime stime disponibili, dopo sette anni
consecutivi di recessione il prodotto delle regioni meridionali avrebbe interrotto
la sua caduta. Per le aree in ritardo di sviluppo è essenziale sfruttare appieno le
opportunità di finanziamento degli investimenti fornite dall’Unione europea.
Lo scorso anno l’utilizzo dei fondi è stato più elevato che in passato, soprattutto
grazie alla loro riallocazione dai progetti in ritardo a quelli già avviati. L’impatto
di questi finanziamenti sulla crescita economica potrà essere rafforzato
migliorando la fase di progettazione e con una selezione degli interventi da
parte delle autorità centrali e locali che privilegi gli investimenti diretti rispetto
ai sussidi alle imprese, di cui più volte abbiamo documentato la scarsa efficacia.
La domanda di lavoro è tornata a crescere a un ritmo superiore alle attese
di un anno fa, interessando aree, settori e categorie di lavoratori esclusi dai
segnali di ripresa del 2014. Vi hanno influito la nuova disciplina dei rapporti
di lavoro e, in misura a oggi più ampia, gli sgravi contributivi. L’espansione
dell’occupazione si è estesa alle assunzioni a tempo indeterminato; ha riguardato
anche il Mezzogiorno. Dopo tre anni di contrazione, le ore lavorate sono
aumentate, seppur lievemente, anche nell’industria. L’occupazione ha tenuto
nei primi mesi dell’anno, sebbene molte assunzioni fossero state anticipate
all’ultima parte del 2015 in vista della riduzione degli sgravi contributivi da
gennaio.
Il tasso di disoccupazione dei giovani è sceso per la prima volta dal 2007,
di oltre due punti percentuali. La disoccupazione resta però troppo alta. Il
suo progressivo riassorbimento, essenziale per offrire adeguate condizioni
di vita ai cittadini, è necessario anche per riportare l’inflazione su valori in
linea con la stabilità dei prezzi. In Italia, come in altri paesi, la reattività delle
retribuzioni di fatto alle variazioni del tasso di disoccupazione è elevata; si
stima che a una riduzione di un punto percentuale del tasso di disoccupazione
corrisponderebbe una maggiore crescita salariale di poco meno di un punto
nel triennio successivo.
I guadagni di occupazione potranno essere ampliati se si consoliderà la
ripresa della domanda interna. Il suo aumento risente in misura importante
dell’intonazione fortemente espansiva della politica monetaria; vi contribuisce
la politica di bilancio, anche se con margini di manovra inevitabilmente limitati
dall’alto debito pubblico. Ma l’obiettivo di innalzare la capacità di crescita
dell’economia è imprescindibile. Sia nella sua dimensione quantitativa sia sul
piano qualitativo, il tasso di crescita potenziale non è un dato immutabile,
replica di deludenti andamenti passati: può essere stimolato con misure
appropriate, dipende dalle decisioni di accumulazione, dai meccanismi di
allocazione delle risorse.
Nonostante l’elevata frammentarietà che caratterizza il sistema produttivo
e ne penalizza la competitività complessiva, gli andamenti positivi di molte
imprese sui mercati internazionali segnalano che l’Italia ha le potenzialità per
colmare il ritardo di crescita dell’ultimo ventennio. Nelle nostre indagini, non
sono poche le aziende che utilizzano nuove tecnologie, anche nei comparti
tradizionali. Segnali di vitalità sono visibili su tutto il territorio, riguardano
sia la manifattura, con produzioni molto innovative e tecnologicamente
avanzate, sia i servizi. Ne hanno beneficiato le esportazioni che, pur risentendo
dell’indebolimento degli scambi internazionali, nel 2015 sono cresciute più
della domanda potenziale proveniente dai mercati di sbocco, come avviene
quasi sistematicamente dal 2010. Gli esportatori italiani hanno saputo
accrescere la propria posizione anche su mercati maturi; l’aumento delle
vendite all’estero è stato eccezionalmente favorevole per gli autoveicoli.
L’alta incidenza delle aziende di piccola dimensione nel nostro sistema
produttivo resta però un elemento di debolezza. Dall’inizio dello scorso
decennio le esportazioni delle imprese con meno di 50 addetti non sono più
riuscite a tenere il passo di quelle delle aziende di dimensione maggiore. Le
imprese italiane non solo nascono mediamente più piccole di quelle degli altri
principali paesi europei, ma hanno anche maggiori difficoltà a espandersi.
Vanno favoriti l’avvio di iniziative imprenditoriali innovative, il loro
sviluppo nelle prime fasi di vita e uno spostamento più rapido delle risorse
produttive verso le aziende con migliori prospettive di crescita. Nel 2012 sono
stati definiti i criteri che le start-up innovative devono soddisfare per ottenere
un’ampia gamma di agevolazioni, tra cui incentivi per chi investe nel loro
capitale e una procedura rapida per ottenere garanzie su crediti bancari. Prime
evidenze indicano che il programma ha consentito a queste aziende di ottenere
flussi di finanziamento più ampi e di sostenere tassi di investimento più alti.
Le priorità di riforma sono chiaramente individuate: consistono innan-
zitutto nella rimozione degli ostacoli all’attività d’impresa derivanti dai
fenomeni di illegalità, da inefficienze delle amministrazioni pubbliche e
della giustizia civile, da inadeguatezze nella regolamentazione dell’entrata
e dell’uscita delle imprese dal mercato, da limitazioni alla concorrenza, da
disponibilità e incentivi insufficienti per gli investimenti nell’innovazione,
nella ricerca e nel capitale umano. I risultati ottenuti sul mercato del lavoro,
la diminuzione degli arretrati nella giustizia civile, dovuta soprattutto alle
misure di riduzione del contenzioso adottate in questi anni, sono esempi che
segnalano come le riforme intraprese possano essere efficaci anche se i loro
effetti si esplicano soprattutto nel medio periodo.
La legalità è condizione cruciale per lo sviluppo. Rafforzare l’azione di
contrasto dell’evasione fiscale, della corruzione e della criminalità organiz-
zata, dando continuità alle iniziative poste in essere negli ultimi anni e inten-
sificandone l’attuazione, può permettere di sostenere l’attività delle tante
imprese competitive e corrette, garantendo che tutti rispettino le regole e non
sia ristretto o falsato il gioco della concorrenza.
La riforma della Pubblica amministrazione varata lo scorso anno dal
Parlamento è un passo importante. Gli effetti sull’attività economica e sulla
vita dei cittadini dipenderanno dalle modalità e dai tempi della sua attuazione.
Va dato rinnovato impulso all’opera di semplificazione amministrativa e di
ridisegno delle strutture. Le iniziative volte ad agevolare l’identificazione
dell’utente e il pagamento dei servizi via internet daranno un contributo alla
digitalizzazione del Paese.
Gli interventi sugli istituti di gestione delle crisi d’impresa varati
l’estate scorsa e le ulteriori misure di recente approvate potranno facilitare
il risanamento delle aziende in crisi reversibile e favorire l’uscita dal mercato
di quelle non più profittevoli. Per stimolare l’ingresso di nuove imprese è
importante che si proceda in tempi rapidi all’approvazione del disegno di
legge annuale in materia di concorrenza.
L’aumento dell’incidenza del debito pubblico sul prodotto, da poco
meno del 100 per cento nel 2007 a quasi il 133 lo scorso anno, è soprattutto
il portato della crisi. Se in questo periodo il prodotto reale fosse aumentato
in linea con il decennio precedente e il deflatore in linea con l’obiettivo di
inflazione nell’area dell’euro, il peso del debito sarebbe aumentato di soli tre
punti percentuali, un incremento di poco inferiore a quello derivante dal
sostegno finanziario fornito dall’Italia ai paesi in difficoltà; tenendo conto
delle ricadute positive di una maggiore crescita sul disavanzo pubblico, il
peso del debito si sarebbe ridotto. Questo semplice esercizio rende evidenti i
rischi ai quali è esposta l’economia di un paese in grave ritardo competitivo e
l’importanza di riforme strutturali volte a sostenerne il potenziale di crescita;
esse sono tanto più necessarie in presenza di un debito pubblico così elevato.
Dopo la recessione innescata dalla crisi finanziaria globale la politica
di bilancio ha contenuto il disavanzo, contrastando la crescita del rapporto
tra debito e prodotto. Il saldo primario è tornato in avanzo dal 2011;
l’indebitamento netto è stato ricondotto entro la soglia del 3 per cento del
prodotto nel 2012. Ha avuto un ruolo importante il controllo della spesa
primaria corrente, cresciuta in misura modesta in termini nominali fino al
2014, rimasta pressoché stabile lo scorso anno.
Dal 2014, alla fine di un triennio particolarmente duro per l’economia
italiana, la politica di bilancio è divenuta moderatamente espansiva. Il Governo
mira a conciliare il sostegno alla ripresa con la riduzione del rapporto tra debito
pubblico e PIL, opportunamente indicata come obiettivo strategico. Nei
suoi piani la riduzione dovrebbe iniziare quest’anno e rafforzarsi nel triennio
successivo. L’evoluzione del contesto macroeconomico rischia di ostacolare
il conseguimento di questo obiettivo nel 2016; uno stretto controllo dei
conti pubblici e la realizzazione del programma di privatizzazioni possono
consentire di avvicinare il più possibile il rapporto tra debito e prodotto a
quanto programmato e garantirne una riduzione significativa nel 2017.
Per sostenere una ripresa più rapida e duratura è necessario il rilancio
di investimenti pubblici mirati, anche in infrastrutture immateriali, a lungo
differiti; sono importanti un’ulteriore riduzione del cuneo fiscale gravante sul
lavoro, il rafforzamento di incentivi per l’innovazione, il sostegno ai redditi
dei meno abbienti, particolarmente colpiti dalla crisi. Se i margini oggi dispo-
nibili nel bilancio sono limitati, è comunque possibile programmare l’attua-
zione di questi interventi su un orizzonte temporale più ampio.
La costruzione europea: progressi e incertezze
Le condizioni attuali e le prospettive dei singoli paesi dell’area dell’euro
sono strettamente legate a quelle della costruzione europea. L’area resiste da
anni a formidabili tensioni. Non erano state ancora assorbite le conseguenze
della crisi finanziaria globale quando si è accesa quella dei debiti sovrani.
Innescata da debolezze di singoli paesi, quest’ultima ha trovato alimento
nell’incompletezza dell’Unione economica e monetaria. Le esitazioni nel
definire le modalità con cui fornire sostegno ai paesi in difficoltà, dovute
anche alla carenza di adeguati strumenti, hanno accresciuto i timori di rottura
dell’area. I differenziali di rendimento tra titoli di Stato si sono ampliati
drammaticamente, in alcuni casi assai più di quanto giustificato dalle
condizioni economiche e di finanza pubblica dei paesi interessati.
A misure volte a fronteggiare l’emergenza si è progressivamente affiancato
un processo di riforma della governance dell’Unione europea e, soprattutto,
dell’area dell’euro, avviato con interventi sulle regole di finanza pubblica e sulla
sorveglianza macroeconomica. Nell’estate del 2012 il Presidente del Consiglio
europeo pubblicava il Rapporto “Verso un’autentica unione economica e
monetaria”, preparato con i presidenti della Commissione, dell’Eurogruppo
e della BCE. Il Rapporto proponeva di muovere, nell’arco di un decennio,
passi concreti verso un’unione bancaria e di bilancio, accompagnando questo
processo con un rafforzamento della legittimazione democratica delle istituzioni
comuni, embrione di un’unione politica. Il Consiglio direttivo della BCE
ribadiva la propria determinazione a difendere la moneta unica: l’annuncio della
possibilità di interventi sul mercato secondario dei titoli di Stato si rifletteva
immediatamente in una drastica riduzione dei divari di rendimento.
Il processo di riforma delineato nel Rapporto prevedeva una graduale
cessione di sovranità in campo economico e finanziario e l’affiancamento o la
sostituzione di strumenti di intervento nazionali con analoghi istituti sovra-
nazionali. Per le banche si proponeva sia di portare la responsabilità della
vigilanza a livello dell’area dell’euro, sia di istituire meccanismi comuni di
risoluzione delle crisi e di garanzia dei depositi, che avrebbero trovato un
sostegno nei fondi pubblici del meccanismo europeo di stabilità (European
Stability Mechanism, ESM). Per le finanze pubbliche si proponeva di affian-
care all’attuazione delle riforme già approvate (il Six Pack e il Fiscal Compact)
passi graduali verso la creazione di un bilancio per l’area dell’euro e l’emis-
sione di debito comune. Gran parte di queste proposte sono state riprese in
documenti successivi, per alcuni aspetti con un grado di ambizione minore,
fino al Rapporto dei cinque presidenti del giugno 2015.
I risultati conseguiti sono importanti ma disomogenei. Le limitazioni alle
leve nazionali sono state rapidamente poste in atto; l’introduzione e la piena
condivisione degli strumenti sovranazionali segnano invece un ritardo. Anche
per gli interventi comuni a sostegno di singoli paesi membri in difficoltà si
è scelta la strada di una condivisione dei rischi contenuta. Con l’istituzione
dell’ESM è stato superato il tenore restrittivo della clausola di divieto di
salvataggio prevista dai Trattati europei che avrebbe impedito qualunque
forma di assistenza; tuttavia, la capacità finanziaria del fondo è modesta,
sostenuta da garanzie limitate dei paesi membri.
Il nuovo disegno istituzionale e molte delle decisioni che ne sono scaturite
sono stati soprattutto indirizzati a ridurre i rischi propri di ciascuno Stato o
dei singoli intermediari bancari, anche prescindendo da possibili implicazioni
sistemiche. È, questa, una situazione di vulnerabilità: vi è il pericolo non
solo che le autorità nazionali ed europee non siano in grado di reagire
adeguatamente a shock di ampia portata, ma che abbiano anche difficoltà a
evitare effetti di contagio originati da tensioni di carattere circoscritto. Una
effettiva riduzione dei rischi complessivi richiede che adeguate reti di sicurezza
basate su strumenti sovranazionali affianchino le misure pensate per ridurre
fragilità specifiche.
Nel caso del sistema bancario si è pressoché annullata la possibilità di
utilizzare risorse pubbliche, nazionali o comuni, come strumento di prevenzione
e gestione delle crisi. L’esperienza internazionale mostra che, a fronte di un
fallimento del mercato, un intervento pubblico tempestivo può evitare una
distruzione di ricchezza, senza necessariamente generare perdite per lo Stato,
anzi spesso producendo guadagni. Andrebbero recuperati più ampi margini
per interventi di questo tipo, per quanto di natura eccezionale.
Inoltre, la posizione assunta dalla Commissione europea in materia di aiuti
di stato esclude l’utilizzo, a fini preventivi e di ordinata gestione delle crisi, degli
schemi di assicurazione obbligatoria dei depositi, sebbene tali fondi siano di
natura privata, essendo finanziati e autonomamente gestiti dagli intermediari;
l’efficace conduzione dei processi di risanamento richiederebbe invece l’utilizzo
di tutti gli strumenti a disposizione. Non vi è motivo per considerare come
impropri aiuti di stato iniziative che contribuiscono a correggere fallimenti
del mercato senza ledere la concorrenza. Un’interpretazione rigida della
normativa sugli aiuti di Stato, poco attenta alla stabilità finanziaria, ha anche
ostacolato l’ipotesi di istituire una società per la gestione dei crediti deteriorati
delle banche italiane.
Con la condivisione delle perdite da parte di azionisti e creditori subor-
dinati (burden sharing) e con le misure di salvataggio interno (bail-in), che
prevedono il possibile coinvolgimento di altri creditori, si è deciso di proteg-
gere i contribuenti, imponendo invece un costo diretto a risparmiatori e
investitori. La nuova normativa costituisce una risposta a vicende occorse
in sistemi bancari diversi da quello italiano, direttamente colpiti dalla crisi
finanziaria globale e sostenuti da massicci aiuti di stato. Essa è pensata per
contrastare, com’è giusto, comportamenti opportunistici delle banche, ma
nella sua applicazione va ricercato un equilibrio tra questo obiettivo e quello
della stabilità. Diversamente da quanto proposto dalla delegazione italiana
nelle sedi ufficiali, non è stato previsto un sufficiente periodo transitorio che
consentisse a tutti i soggetti coinvolti di acquisire piena consapevolezza del
nuovo regime, né si è esclusa l’applicazione delle norme agli strumenti di
debito già collocati, anche al dettaglio.
L’Unione bancaria deve essere completata con gli elementi che erano
previsti nel disegno originario. Il fondo unico di risoluzione è stato costituito,
ma i contributi versati dalle banche, inizialmente suddivisi in comparti nazio-
nali, verranno messi in comune in tempi lunghi; non traspare una chiara
determinazione a farne effettivamente uso. Il sistema unico di garanzia dei
depositi non è ancora stato definito; la Commissione europea ha recente-
mente presentato una proposta, anch’essa caratterizzata da un lungo periodo
di transizione. Manca in entrambi i casi un sostegno finanziario pubblico
europeo, previsto fin dal Rapporto del 2012 e indispensabile per garantire la
capacità dell’Unione bancaria di assicurare la stabilità sistemica.
Il tema dei requisiti prudenziali sulle esposizioni verso debitori sovrani
viene spesso collegato nel dibattito, anche politico, al completamento
dell’Unione bancaria, argomentando che bisogna ridurre i rischi prima di
poterli condividere. Esso va affrontato senza posizioni preconcette, evitando
di prendere decisioni affrettate che potrebbero aggravare i rischi anziché
ridurli. Non vi è consenso sulla convenienza complessiva delle diverse opzioni
di riforma; per di più, l’esperienza insegna che transizioni originariamente
pensate come graduali spesso finiscono per subire repentine accelerazioni
imposte dal mercato. In ogni caso, la questione va risolta in modo coordinato
a livello globale, nelle sedi istituzionali appropriate.
Lo scarso rispetto delle regole di finanza pubblica nel periodo precedente
la crisi ha giustificato il loro rafforzamento, ma questi ultimi anni ci hanno
mostrato come sia importante applicarle tenendo conto, come previsto,
della presenza di circostanze eccezionali e della concomitante attuazione di
interventi di più lungo periodo. All’inizio dello scorso anno la Commissione
europea ha definito le condizioni per l’applicazione delle clausole di flessibilità
previste dal Patto di stabilità e crescita, che possono consentire ai bilanci
nazionali di esercitare almeno in parte, quando necessario, una funzione di
stabilizzazione macroeconomica. Ma non è possibile pensare di prevedere
tutte le contingenze; la Commissione si trova a dover interpretare, in maniera
inevitabilmente discrezionale, i margini di flessibilità presenti nelle regole.
Un bilancio condiviso, che non può che passare attraverso ulteriori
cessioni di sovranità nazionale e un adeguato rafforzamento della funzione
legislativa europea, garantirebbe la possibilità di attuare politiche coerenti con
le condizioni cicliche delle diverse economie e dell’area nel suo complesso,
tempestivamente e senza incertezze sulla loro legittimità. La moneta unica ha
bisogno di confrontarsi con una politica di bilancio unica.
L’efficacia di un’Unione di bilancio richiede l’introduzione di strumenti
di debito comuni e contestuali decisioni sul trattamento dei debiti nazionali
preesistenti, nella prospettiva di un debito unico dell’area. In questa direzione
sono state avanzate, anche di recente, diverse proposte concrete. In presenza
di gravissime tensioni sui debiti sovrani, già quattro anni fa sottolineavo
in questa stessa sede la necessità di accrescere le risorse comuni; ciò anche
attraverso l’istituzione di un fondo in cui far confluire parte dei debiti sovrani,
da redimere nel tempo con modalità ben definite e senza trasferimenti di
risorse tra paesi, sostanziando una forma di unione di bilancio non disgiunta
da regole cogenti, da poteri di controllo e intervento.
I livelli dell’indebitamento pubblico e di quello privato, così come gli
indicatori di sostenibilità di lungo periodo del primo, sono molto diversi tra
i paesi dell’area dell’euro. In Italia, ad esempio, l’incidenza del debito privato
sul PIL è inferiore alla media; quella del debito pubblico è particolarmente
elevata, mentre gli indicatori di sostenibilità di lungo periodo sono tra i
migliori anche grazie agli interventi di riforma delle pensioni. In media le
condizioni dell’area sono in linea o più favorevoli di quelle delle altre principali
economie avanzate; a una posizione peggiore per le imprese ne corrisponde
una migliore per le famiglie.
Eppure è sull’area dell’euro che sono più elevate le preoccupazioni
dei mercati. L’area è oggi sottoposta a eccezionali pressioni, economiche
e geopolitiche. La reazione di gran parte dell’opinione pubblica, in alcuni
casi dei governi, è di timore e chiusura; sempre più il disegno europeo viene
visto come parte del problema, sempre meno come la soluzione. Ma sono
proprio l’entità e la diffusione dei rischi a cui siamo esposti a richiedere una
strategia comune, che non si limiti alla risposta all’emergenza. Per procedere
nel cammino di integrazione bisogna ricostruire la fiducia tra paesi, sia a
livello politico sia a livello dei cittadini. Il primo passo non può che consistere
nell’affrontare le fragilità a livello nazionale, come ha fatto in questi anni
l’Italia, come dovrà continuare a fare. Lo sforzo dei singoli paesi deve però
trovare sostegno in progressi concreti della costruzione europea.
Banche e vigilanza: gli ultimi, difficili anni
Nella seconda metà del 2011, la fase più acuta della crisi del debito
sovrano, e ancora nel 2012 le banche italiane hanno risentito di un significativo
peggioramento della raccolta all’ingrosso; mentre andava deteriorandosi una
parte crescente dei prestiti concessi, situazioni di grave difficoltà restavano
circoscritte a pochi intermediari. Nel 2013 il Fondo monetario internazionale
dava atto della capacità mostrata dal sistema bancario italiano di contenere
autonomamente gli effetti della crisi e di conseguire, con il ricorso al mercato,
livelli di capitalizzazione adeguati.
Con il ritorno della recessione, i numerosi fallimenti delle imprese
e la perdita di posti di lavoro alimentavano ancora la crescita dei prestiti
deteriorati; in un circolo vizioso, l’aumento del rischio di credito induceva
le banche a contrarre l’offerta di finanziamenti all’economia. La gran parte
del nostro sistema bancario ha affrontato la crisi con coraggio e trasparenza,
ma in non pochi casi agli effetti di una recessione lunga e profonda si sono
sommati quelli di comportamenti imprudenti e a volte fraudolenti da parte
di amministratori e dirigenti.
Con l’evolvere della crisi la normativa bancaria internazionale cambiava
rapidamente e radicalmente; in particolare, come ho ricordato, quella sulla
gestione dei dissesti. La vicenda delle quattro banche poste in risoluzione
lo scorso mese di novembre va analizzata in questo contesto. Non mi
soffermo oggi sui fatti che avevano condotto quelle banche alla crisi, sulla
nostra azione di vigilanza, sull’interazione stretta con l’autorità giudiziaria;
ne abbiamo dato conto in più occasioni, con note e chiarimenti, da ultimo
con la testimonianza che ho reso in Senato lo scorso 19 aprile, dove vengono
a fondo trattati i recenti casi di crisi di banche italiane. Le banche poste in
risoluzione rappresentavano complessivamente l’1 per cento delle attività
del sistema; le ripercussioni del loro dissesto confermano come, anche nel
caso di intermediari di piccola dimensione, la perdita di fiducia da parte del
pubblico possa propagarsi velocemente e rischiare di generare effetti sistemici
di natura persistente.
L’intervento ha preservato la continuità operativa dei quattro inter-
mediari. Le nuove banche, tolti dall’attivo i prestiti in sofferenza, sono ora
impegnate a rinforzare il rapporto con oltre un milione di clienti tra depo-
sitanti e piccole e medie imprese; muovono nella direzione di rinsaldare la
fiducia della clientela i recenti provvedimenti del Governo per il rimborso
dei sottoscrittori di obbligazioni subordinate emesse in passato. La procedura
di cessione di queste banche sul mercato è in fase avanzata; segue rigorosi
criteri di trasparenza, imparzialità e concorrenza; se ne prevede la chiusura
nel corso dell’estate. La società cessionaria dei crediti in sofferenza sta predi-
sponendo le informazioni necessarie per la loro vendita su base competitiva;
l’operazione potrà contribuire allo sviluppo di un mercato dei prestiti dete-
riorati nel nostro paese.
Le crisi bancarie costituiscono sempre per le autorità di supervisione un
passaggio delicato. La Vigilanza è chiamata a ridurre per quanto possibile
la probabilità che i dissesti si verifichino e a contenerne le ricadute. Questa
responsabilità richiede di riflettere sempre sulle cause delle crisi, su come
identificarle più rapidamente, su come migliorare gli interventi ispettivi e
a distanza. Ma non va dimenticato un punto importante: gli ordinamenti
e il modello di vigilanza prudenziale che si sono andati affermando a livello
internazionale negli anni, sotto la spinta del Comitato di Basilea, giustamente
valorizzano l’autonomia imprenditoriale delle banche. L’autorità di vigilanza
non può sostituirsi sistematicamente nelle loro scelte gestionali.
Anomalie e irregolarità emergono o trovano conferma di norma a seguito
di accertamenti ispettivi; ne conduciamo circa 200 ogni anno. L’individuazione
di queste fattispecie, talvolta abilmente celate, non è agevole, e talora può non
essere immediata. La Vigilanza svolge un difficile lavoro di approfondimento
e di indagine; non dispone degli strumenti riservati all’Autorità giudiziaria,
come sequestri o perquisizioni. I poteri e le responsabilità dell’autorità
amministrativa e della magistratura inquirente sono, come è giusto, tenuti
rigorosamente distinti. La piena e tempestiva cooperazione della prima con la
seconda è naturalmente essenziale.
Individuata una situazione problematica, si mira sempre a porre i
presupposti per il suo riequilibrio. Quando rileviamo ipotesi di reato
informiamo subito le competenti Procure. L’opinione pubblica non ne viene
in generale a conoscenza: la legge impone che, salvo limitate eccezioni, le
notizie, le informazioni e i dati in possesso della Banca d’Italia in ragione della
sua attività di vigilanza siano coperti da segreto d’ufficio. Anche questa norma
ha una ratio precisa: impedire che notizie relative a fenomeni circoscritti
peggiorino problemi temporanei o risolvibili e abbiano effetti destabilizzanti
con gravi danni per la collettività.
Negli ultimi venti anni abbiamo gestito, con il ricorso al commissaria-
mento, le crisi di 125 intermediari, prevalentemente di piccole dimensioni, di
cui 56 negli ultimi sette anni. Le procedure si sono concluse con la restitu-
zione delle banche alla gestione ordinaria in oltre la metà dei casi. Le banche
liquidate sono state circa un terzo; quasi sempre la liquidazione è stata
accompagnata dalla cessione di attività e passività a un altro intermediario,
garantendo in tal modo la continuità dei rapporti con la clientela. Gli inter-
venti realizzati hanno consentito di creare le condizioni per il perseguimento
delle responsabilità dei dissesti.
Prima dei recenti cambiamenti normativi, le crisi bancarie sono state
risolte in Italia senza oneri per i depositanti e gli obbligazionisti, anche grazie
agli interventi dei fondi di garanzia. Nei numerosi casi problematici in cui
non si giungeva alla misura estrema del commissariamento siamo intervenuti
con decisione, sollecitando azioni correttive, ottenendo dove necessario la
sostituzione degli amministratori – pur con i limitati strumenti normativi a
disposizione, solo di recente adeguati – e imponendo incrementi patrimoniali.
Siamo consapevoli delle maggiori difficoltà che oggi si incontrano nel
gestire le crisi bancarie e delle conseguenze gravi che ne possono derivare sulla
fiducia dei risparmiatori. Aggiorniamo costantemente metodi e procedure di
intervento preventivo. Siamo aperti alle critiche costruttive, impegnati a dare
conto del nostro operato.
La collaborazione con le autorità di governo, con le altre autorità di
supervisione e controllo, con gli stessi intermediari è intensa. Ne sono esempio
la costituzione del fondo di investimento privato Atlante, già intervenuto in
un aumento di capitale richiesto dalle autorità di vigilanza, e le iniziative per
la creazione di fondi bancari volontari per l’intervento in caso di crisi.
I problemi oggi aperti per le banche italiane
Le banche italiane, come quelle di altri paesi, fronteggiano oggi cambia-
menti profondi nelle tecnologie e nella struttura dei mercati. A una congiun-
tura economica ancora debole e alle incertezze legate ai mutamenti della
regolamentazione, si aggiungono in Italia l’elevata consistenza di prestiti
deteriorati, che comprime la redditività, e assetti di governance inadeguati.
Su entrambi i fronti sono state di recente adottate importanti iniziative;
bisogna che gli intermediari colgano rapidamente e appieno le opportunità
che esse offrono.
Al netto delle svalutazioni già apportate dalle banche, il valore dei crediti
deteriorati è di poco inferiore a 200 miliardi. Più della metà si riferisce a
situazioni in cui la difficoltà dei debitori è temporanea. Se ci si concentra
sulle sole sofferenze, il valore netto è pari a meno di 90 miliardi. Si tratta
di un peso rilevante, ma in larga parte esso è coperto da garanzie reali il cui
valore è stato accuratamente esaminato nel corso dell’esercizio di valutazione
approfondita dei bilanci delle maggiori banche dell’area dell’euro condotto
nel 2014; a queste si aggiungono le garanzie personali. Nel complesso, le
preoccupazioni sulla qualità degli attivi delle banche italiane devono essere
prese in seria considerazione, senza sovrastimare però l’entità del problema.
I crediti deteriorati sono soprattutto il lascito della lunga e profonda
recessione. Siamo ora a un punto di svolta. La moderata ripresa economica
in atto dallo scorso anno si sta riflettendo in un calo significativo del flusso
di nuovi crediti deteriorati; nel 2015 essi sono stati pari al 3,7 per cento
del totale dei prestiti, contro il 4,9 del 2014; per il settore delle famiglie
il flusso è ridisceso sui livelli pre-crisi. La tendenza alla normalizzazione sta
proseguendo.
Ad accrescere la consistenza dei crediti deteriorati ha finora contribuito
la lentezza delle procedure di insolvenza e di recupero. Le riforme legislative
introdotte la scorsa estate e quelle varate all’inizio di questo mese consentono
di accelerarle. Con l’assegnazione stragiudiziale dell’immobile dato in garanzia
dalle imprese i tempi medi di recupero potranno ridursi a pochi mesi, dagli
oltre tre anni stimati dopo che già i provvedimenti della scorsa estate li avevano
ridotti. Le misure che richiedono espliciti accordi contrattuali avranno effetti
tanto più rilevanti quanto più le parti li introdurranno nei nuovi contratti
e rinegozieranno quelli esistenti. La riduzione dei tempi di recupero potrà
aumentare il valore dei crediti deteriorati in misura importante, facilitandone
la cessione sul mercato.
Un contributo di rilievo potrebbe provenire dal miglioramento del-
l’efficienza dei tribunali. Esistono differenze considerevoli nella durata delle
procedure esecutive e concorsuali sul territorio, a volte anche all’interno
della stessa regione. Il processo di dismissione delle sofferenze potrà essere
ulteriormente favorito dallo schema di garanzia pubblica per la cartolarizzazione
delle sofferenze che, rendendo più appetibile per gli investitori le tranche
senior delle cartolarizzazioni, contribuirà ad accrescerne il prezzo di cessione.
Allo sviluppo del mercato degli attivi deteriorati contribuiranno altresì
gli investimenti del fondo privato Atlante, che potranno concentrarsi nelle
tranche più rischiose delle cartolarizzazioni. Pur con risorse al momento
relativamente contenute, Atlante può dimostrare che è possibile conseguire
rendimenti attraenti acquistando sofferenze a prezzi più elevati di quelli
oggi offerti dagli investitori specializzati. Riteniamo che il fondo abbia la
determinazione, l’indipendenza e la professionalità per affrontare questa sfida
con successo; quanto più ci riuscirà, tanto più sarà possibile raccogliere nuovi
investimenti, alimentando un circolo virtuoso.
La cessione è solo uno dei modi per affrontare il problema dei prestiti
deteriorati. È interesse sia delle autorità di vigilanza sia delle banche che in
questa fase la gestione attiva, efficiente e consapevole di tali prestiti diventi
un obiettivo strategico. I miglioramenti possibili vanno dal rafforzamento
delle procedure interne all’affidamento della gestione a operatori specializzati.
Nell’ambito di un’azione complessiva di sollecitazione degli intermediari, la
Banca d’Italia ha recentemente varato una nuova rilevazione periodica con
informazioni dettagliate sullo stock di sofferenze, sulle relative garanzie e sulle
procedure di recupero. Essa pone le basi per incisivi interventi organizzativi,
che a loro volta costituiscono la premessa per una soluzione del problema su
un orizzonte non immediato, ma neanche irragionevolmente lungo.
I responsabili della vigilanza europea sono consapevoli che la riduzione
delle esposizioni deteriorate non potrà che essere graduale. Sarà valutata
l’effettiva situazione delle singole banche e verranno individuate le misure
di supervisione più appropriate tenendo conto del contesto in cui esse
operano. Allo stesso tempo, all’interno del Meccanismo unico di vigilanza ci
adoperiamo perché l’azione divenga più incisiva con riguardo agli altri rischi
che insistono sui bilanci bancari, primi tra tutti quelli legati ad attività in
prodotti finanziari strutturati.
La legge di riforma delle banche popolari ha posto le premesse per risolvere
il duplice problema del controllo sull’operato degli amministratori, che nelle
forme cooperative può essere poco efficace o addirittura soggetto a incentivi
perversi, e dei vincoli a reperire capitali sul mercato. Queste debolezze erano
accentuate nelle popolari più grandi. La legge appresta rimedi opportunamente
differenziati. Alle popolari più piccole offre possibilità, che vanno pienamente
sfruttate, per migliorare la qualità complessiva della governance e accrescere
la capacità di raccolta di capitale. Per le popolari di grande dimensione era
necessaria una netta discontinuità.
La trasformazione in società per azioni consente di dare soluzione a
problemi divenuti urgenti, quali la scarsa trasparenza delle decisioni degli
amministratori, l’autoreferenzialità di alcune figure di vertice, la resistenza al
cambiamento. Deve favorire aggregazioni che consentano di razionalizzare
l’organizzazione, aumentare la redditività e l’efficienza, irrobustire il capitale.
La legge ha previsto un congruo periodo di tempo – che termina il prossimo
dicembre – per consentire alle maggiori banche popolari di pianificare le
scelte strategiche e di attuare gli adempimenti necessari per la trasformazione
societaria. Questo processo va completato celermente; arrivare a ridosso del
termine espone a incertezze.
È necessario dare al più presto piena attuazione alla riforma delle banche
di credito cooperativo, condizione indispensabile per rafforzare il comparto e
aggiornare il modello di attività a tecnologie e mercati in evoluzione. La Banca
d’Italia emanerà in tempi rapidi la normativa secondaria, in coordinamento
con la BCE; ci attendiamo un’attuazione altrettanto veloce da parte del sistema.
Nel definire l’assetto di gruppo e i rapporti tra le varie componenti, occorre
seguire logiche strettamente industriali, mediante un patto di coesione che dia
effettivi poteri di governo alla capogruppo, e perseguire con determinazione
razionalizzazioni e guadagni di efficienza. La componente associativa può
mantenere un ruolo di rappresentanza a livello nazionale e territoriale, senza
indebite interferenze sulla pianificazione strategica, sulla gestione operativa e
sulle funzioni di controllo del gruppo.
Costi e redditività delle banche
Per finanziare l’economia una banca deve essere stabile e ben capitalizzata;
deve poter generare un’adeguata redditività. Negli ultimi anni i profitti
sono stati compressi dalla necessità di svalutare in bilancio i crediti che si
andavano deteriorando; le rettifiche sono state pari a 120 miliardi nel
quadriennio 2012-15. Con la ripresa economica l’incidenza di questo fattore
si sta ridimensionando, ma ne emergono di nuovi, come i bassi margini di
interesse, la necessità di ridurre la leva finanziaria, il calo dei prezzi di alcuni
servizi connesso con le innovazioni tecnologiche e la maggiore concorrenza.
Un recupero passa necessariamente attraverso un aumento dell’efficienza,
un contenimento dei costi, un ampliamento delle fonti di ricavo; mirate
operazioni di aggregazione, condotte sempre secondo logiche di convenienza
industriale, possono stimolare e favorire questo processo.
Nel 2015 i costi operativi delle banche – al netto dei contributi straordinari
versati al Fondo nazionale di risoluzione – sono rimasti stabili. Il loro peso
sui ricavi, pari al 64 per cento, è appena superiore a quello osservato in media
per i gruppi europei e inferiore a quello delle principali banche tedesche e
francesi. Ciò nonostante, date le loro specifiche condizioni, per molte banche
italiane resta forte l’esigenza di intervenire anche sui costi, inclusi quelli per il
personale, agendo su qualità e quantità degli organici in maniera coerente con
gli sviluppi del mercato e della tecnologia. Il modello di attività, basato su una
diffusa presenza territoriale, va ancora adeguato, proseguendo nella riduzione
degli sportelli, il cui numero è sceso lo scorso anno a circa 30.000, l’11 per
cento in meno rispetto al 2008.
Lo sfruttamento più intenso della tecnologia, a partire da un maggiore
sviluppo della digitalizzazione, consentirebbe significativi risparmi di costo
nell’offerta di servizi tradizionali e standardizzabili. Nella classifica pubbli-
cata lo scorso febbraio dalla Commissione europea, il nostro paese è ancora
al ventitreesimo posto in Europa nell’utilizzo dell’e-banking, sebbene la sua
diffusione sia in aumento e le banche abbiano ampliato la gamma di prodotti
offerti attraverso canali innovativi. L’ampio divario tra banche di diversa
dimensione mostra che vi sono margini per ulteriori progressi: la quota di
famiglie che ha accesso ai servizi a distanza è infatti pari a quasi il 60 per
cento per i primi cinque gruppi, al 45 per le banche piccole e appena al 35
per le minori.
I risparmi così conseguibili potrebbero essere utilmente investiti per
riorganizzare la presenza sul territorio, concentrando i punti fisici di contatto
con la clientela in un numero contenuto di dipendenze specializzate nell’offerta
di servizi a elevato valore aggiunto, come quelli di finanza aziendale per le
imprese e di gestione del risparmio per le famiglie. Una presenza sul territorio
attenta a evitare sovrapposizioni e ad accrescere l’efficienza nei contatti con la
clientela non va a scapito delle relazioni con le famiglie e le imprese.
Spinge alla revisione del modello di attività anche l’evoluzione del sistema
finanziario verso un assetto in cui canali di finanziamento dell’economia
alternativi a quello bancario svolgono un ruolo crescente. Sebbene in Italia
l’intermediazione non bancaria resti decisamente meno sviluppata che in altri
paesi, le iniziative recenti, volte a favorire i fondi di credito, l’erogazione di
prestiti da parte dei veicoli di cartolarizzazione, il finanziamento delle imprese
attraverso minibond e un ruolo più attivo delle assicurazioni, stanno stimolando
una maggiore dinamicità del mercato. Un tale processo sarà rafforzato dalle
misure europee per l’unione dei mercati dei capitali. Muovendo in questa
direzione, porremo a breve in consultazione le norme che consentiranno ai
fondi esteri di concedere finanziamenti in Italia.
Al ridimensionamento dei canali tradizionali di intermediazione le
banche potranno reagire accrescendo i proventi derivanti dallo sviluppo
dell’offerta di servizi. Tali opportunità devono essere colte predisponendo i
necessari presidi per il controllo dei possibili conflitti di interesse. Insieme a
una maggiore consapevolezza e competenza finanziaria da parte dei clienti,
l’evoluzione del contesto esterno impone un ancor più attento controllo sulla
correttezza degli intermediari. La Banca d’Italia è attivamente impegnata su
diversi fronti: ha rafforzato l’azione di vigilanza su trasparenza e correttezza
dei comportamenti degli operatori, con l’obiettivo di accrescere l’attenzione
per la qualità dei servizi offerti e il livello di soddisfazione dei clienti; ha
potenziato l’Arbitro Bancario Finanziario; analizza le segnalazioni dei clienti in
materia di comportamenti scorretti e sollecita assiduamente gli intermediari a
risolvere i contrasti. Con la Consob e con il Governo lavoriamo per rafforzare
la tutela e accrescere la cultura finanziaria dei cittadini, giovani e adulti, nella
convinzione che si tratti di un intervento strutturale per il quale sono necessari
un disegno nazionale, uno sforzo corale, un impegno di lungo periodo.
Per le banche in difficoltà saranno indispensabili azioni ancora più deter-
minate e tempestive di contenimento dei costi. Le ripercussioni sui dipendenti
coinvolti potranno essere attenuate anche grazie al recente ampliamento della
possibilità di accedere alle prestazioni del fondo di solidarietà di settore. Per
le banche di dimensioni minori i problemi derivanti dall’elevato ammontare
di esposizioni deteriorate, dalla scarsa diversificazione delle fonti di ricavo
e dalla necessità di adeguarsi agli sviluppi della tecnologia potranno essere
acuti. In più casi andranno affrontati impostando per tempo operazioni di
aggregazione che sfruttino economie di scala e di scopo, la cui entità può
essere rilevante. È necessario procedere speditamente in questa direzione,
superando vecchie logiche di mero presidio del territorio che hanno sovente
contribuito ad acuire, anziché attenuare, le difficoltà dell’economia reale e
delle stesse banche.
Usciamo lentamente, con esitazione, da un lungo periodo di crisi, non
solo finanziaria ed economica. La ripresa è ancora da consolidare. Le previsioni
di consenso indicano per l’Italia il ritorno ai livelli di reddito precedenti la
crisi in un tempo non breve; sono deludenti le valutazioni sul potenziale di
crescita della nostra economia. Si deve, e si può, fare di più.
La politica monetaria guarda all’intera area dell’euro; contribuisce in
modo decisivo alla tenuta della domanda aggregata; offre oggi al nostro paese
condizioni molto favorevoli, da cogliere per intervenire ancora con riforme
di struttura, necessarie per rilanciare l’attività d’impresa e creare maggiori, e
migliori, opportunità di lavoro, in particolare per i giovani. I frutti dell’azione
di riforma tendono a vedersi soprattutto nel tempo; quanto più è organico
il disegno, più chiara la prospettiva, tanto prima si può influire sulla fiducia
e sulle aspettative. Bisogna puntare a riportare la produttività delle imprese,
dell’economia nel suo complesso, su un sentiero di crescita solido e stabile:
l’innovazione, l’investimento devono beneficiare di un ambiente che li
favorisca e li premi.
Il sistema finanziario rimane sottoposto a sfide pressanti. L’opera di
rafforzamento deve continuare. Un mercato dei capitali più aperto, anche
grazie a progressi tangibili sul fronte europeo, a cui possano affacciarsi
imprese che oggi non emettono capitale di rischio e obbligazioni, costituisce
un obiettivo da non mancare. Agli intermediari finanziari si chiede di essere
più efficienti e più redditizi, di aprirsi a nuove aree di attività e di diventare
in questo modo anche più stabili e sicuri. Le autorità devono porsi, con
pragmatismo, l’obiettivo di adeguare gli strumenti di intervento a difesa
della stabilità.
Le banche italiane hanno certamente subito i colpi della crisi; ci troviamo
ora a gestire, come vigilanza europea e nazionale, situazioni delicate e difficili.
Lo facciamo in un quadro profondamente e in poco tempo innovato, in
collaborazione attiva con tutte le istituzioni e le autorità coinvolte.
I crediti deteriorati sono elevati, la redditività è bassa. Pure, è diffusa
la determinazione a superare le difficoltà e ritornare a servire con profitto
l’economia. Gli interventi sulle sofferenze, in atto e in prospettiva, sono
importanti; la nostra valutazione di quanto si è cominciato a fare è positiva;
bisogna procedere con coraggio e veduta lunga. La Banca d’Italia è impegnata,
con il Governo e gli intermediari, a far sì che questi interventi siano, sul piano
tecnico e regolamentare, il più possibile efficaci.
Sono però necessari, per ridurre al massimo i rischi di crisi, azioni rapide,
mutamenti strutturali, profonde revisioni organizzative, attenzione costante
alla qualità dell’alta dirigenza. Nell’ultimo anno e mezzo le misure di riforma
sono state di grande rilievo; hanno riguardato il ruolo delle fondazioni di origine
bancaria, gli assetti delle banche popolari, quelli del credito cooperativo. Le
debolezze preesistenti hanno prodotto risultati in alcuni casi molto negativi.
Ora si aprono opportunità da cogliere per tempo. Non è un processo facile,
come hanno mostrato eventi recenti.
Le nuove procedure europee per la risoluzione delle crisi muovono da
giuste preoccupazioni riguardo agli oneri, anche finanziari, che comportamenti
opportunistici e di parte possono avere sulla collettività. Le nuove norme
vanno applicate, in modo consapevole e meditato, per contrastare quei
comportamenti ed evitare che l’irreparabile deterioramento della situazione
patrimoniale di una banca si protragga nel tempo aggravando le conseguenze
del dissesto. Si potranno proporre revisioni per rendere gli interventi di
risoluzione delle crisi più efficaci e meno soggetti al rischio di produrre
instabilità, non per proteggere ma per risolvere in modo ordinato situazioni
impossibili da recuperare. È un’azione che si colloca nel quadro degli sforzi
indirizzati al successo dell’Unione bancaria, ai quali pienamente, e con
convinzione, partecipiamo.
La costruzione europea avanza con passi graduali, via via più impegnativi.
In materia economica e finanziaria il trasferimento di sovranità, specie negli
ultimi anni, è stato importante. Sarebbe in effetti illusorio credere di poter
governare l’economia e la finanza, le cui dimensioni globali sono manifeste,
nel ristretto ambito dei singoli paesi europei. La costruzione, però, è irregolare,
incompleta; richiede, per la sua stessa sostenibilità, di essere integrata con gli
elementi mancanti.
Oggi ogni progresso si rivela più difficile. La ferita della crisi, l’ansia
generata dalle tensioni geopolitiche – con l’emergenza dei migranti, con
guerre civili in aree a noi vicine – fanno risorgere nei sentimenti di molti
cittadini europei, talora nei governi che li interpretano, timori e pregiudizi che
si credevano sepolti. La diffidenza genera disaccordo; nella ricerca esasperata
di garanzie reciproche, nello sguardo limitato al risultato di breve periodo,
i passi necessari stentano a compiersi. Procedere con modifiche costruite
su una sequenza di compromessi diventa più arduo. L’unione dell’Europa
si compie con lo sviluppo di istituzioni democratiche designate a gestire la
sovranità comune.
Durante la crisi, il compito di proteggere la stabilità dell’area dell’euro
è ricaduto quasi interamente sulla politica monetaria, per la persistente
debolezza degli altri elementi della costruzione istituzionale, solo tardivamente
e in parte corretti. Non è facile recuperare la fiducia, la condivisione; né si
possono ignorare i motivi di fondo che animano nelle opinioni pubbliche la
protesta, la contestazione delle istituzioni politiche, specie di quelle europee.
Benessere e sicurezza sono beni primari: il tentativo di garantirli dando alle
sfide globali risposte frammentate, di tenere le minacce fuori dell’uscio di
casa tornando a erigere barriere nazionali ha però ben poche probabilità di
riuscita; causa danni certi e ingenti.
Il successo concreto dell’unione monetaria, dell’unione bancaria,
dell’unione dei mercati dei capitali, la stessa prospettiva di una politica di
bilancio comune richiedono di compiere un salto di qualità. Trovando unità
su materie fondamentali per la definizione di una cittadinanza condivisa,
come la sicurezza interna e la gestione dell’immigrazione, sarà meno arduo
procedere nella costruzione di “un’autentica unione economica e monetaria”.
Altiero Spinelli moriva a Roma trent’anni fa. La sua vita è stata una
testimonianza ininterrotta della convinzione che la sua generazione, quella
che aveva scatenato e sofferto le guerre fratricide europee del ventesimo
secolo, avesse il dovere di superare per sempre le divisioni con l’unione degli
stati europei democratici. L’Europa lo riconosce tra i suoi padri fondatori. Per
riprendere le parole del Manifesto di Ventotene, il documento che Spinelli
redasse oltre settant’anni fa con i suoi compagni di confino, ancora serve
un’unione che “spezzi decisamente le autarchie economiche”; un’unione
che riparta dai valori fondamentali del progetto europeo: pace, libertà,
uguaglianza, promozione del benessere.
N° 17 domenica 25 settembre 2016