Si parlavano in dialetto napoletano, Fabrizio De André e Massimo Bubola, coautori del brano «Don Rafaè», ricco come sempre di spunti umani e anche di riferimenti a fatti realmente accaduti di cui avevano abbondantemente riferito le cronache. Ma universale fu e rimane il linguaggio del poeta, il cui ricordo si intreccia con quello degli anni infuocati quando negli atenei risuonavano echi giacobini e con l’ardore della gioventù venivano accolte e ripetute le canzoni di De André, o che raccontassero insolenti storielle riferite a Carlo di Francia, o che riprendessero motivi di Georges Brassens, come l’indimenticabile e – ahimè – attualissimo «Attenti al gorilla».
Continuano le vicende di tangentopoli che adesso vedono sotto accusa Pacini Battaglia, accusato insieme con Necci e Cragnotti dalla procura della repubblica di Perugia di avere stretto una «santa alleanza» con politici, imprenditori e magistrati. Spuntano nuove intercettazioni che rivelano edificanti propositi. «Se fa comodo si può convincere», sostiene da un capo Emo Danesi; «no, si paga», taglia corto dall’altro capo il faccendiere, aduso a conclusioni pratiche e per nulla incline agli esercizi dialettici. Si va avanti così e intanto la nomenclatura si arricchisce di nuove espressioni: tra «mani pulite» e «toghe sporche» non si sa cosa sia meglio o peggio. La telenovela offre sempre nuove puntate: la storia è la stessa, ma le sfumature sono infinite; cosa da fare invidia alla soap opera «Beautiful».
Lillo S. Bruccoleri
Dal Rugantino di martedì 25 gennaio 1999
Nella foto: Fabrizio De André