A proposito di scelte irreversibili

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Le decisioni politiche espresse da norme legittime, adottate secondo procedure democratiche, dunque con il consenso popolare, regolano rapporti, impongono obblighi , disciplinano situazioni sempre restando oggetto di valutazione, quindi di  modifiche, di conferme, di abrogazione. Siano esse di ordine costituzionale, ciò che ne rende più meditato e più complesso il processo di revisione (ad eccezione dell’articolo 139 della carta repubblicana), siano esse ordinarie, esito cioè di decisioni della volontà popolare interpretata dalla maggioranza pro tempore prevalente.

Solo alle scelte collettive che rendono più estese le dimensioni della libertà si deve riconoscere, sul piano politico, la qualità di irreversibili, rappresentando progressive tappe di conquiste civili, spesso realizzate attraverso conflitti, sempre elaborate nel profondo della storia delle comunità umane.

Valgano a delineare tale differente qualificazione di scelte politiche la breve rivisitazione di un evento risalente a mezzo secolo fa e una riflessione sulla pretesa natura di un atto internazionale.

Sul finire del 1970, alle prime luci dell’alba del 1° dicembre, la camera dei deputati approvava, in via definitiva, la legge che introduceva l’istituto del divorzio. Prevaleva così la visione laica dello stato con il riconoscimento di un fondamentale diritto di libertà dei cittadini italiani grazie a una  legge che non interferiva nella sfera religiosa, distinta dalla sfera statuale. Un passo di rilevante significato storico, allora percepito come rivoluzionario in un paese che aveva realizzato l’unità ponendo fine al potere temporale del papato.

Nel solco di una sempre più chiara separazione tra la chiesa e lo stato, come sintetizzato nella felice espressione di Giovanni Spadolini: il «Tevere più largo».

Si sviluppava poi un intenso dibattito nel paese, chiamato a una scelta referendaria conclusa con il voto popolare del 12 maggio 1974 che, con la vittoria del no all’abrogazione della legge, confermava la scelta del parlamento. È di qualche interesse rilevare come, tra i vari argomenti del fronte antidivorzista, si sostenesse la tesi di un vulnus recato dalla legge all’articolo 7 della costituzione laddove si fissa il principio che i rapporti fra lo stato e la chiesa siano regolati dai patti lateranensi. Si osservò come tale norma determinasse non già la costituzionalizzazione del contenuto di quei patti, ma il metodo pattizio con il quale si dovevano regolare i rapporti tra la chiesa cattolica e lo stato, libero, quindi, di legiferare in tema di rapporti civili. Nonostante il particolare rilievo della questione, parte di una tematica che ha punteggiato la storia unitaria, non  si riconobbe  in conclusione alcuna tutela di ordine costituzionale alla indissolubilità del matrimonio civile. Ma la discussione, su questo come su altri argomenti, fu molto partecipata, animata dalla consapevolezza che il paese si trovava di fronte a una scelta di tale portata che, toccando anche questioni di coscienza, non poteva fermarsi neppure alla soglia di un ipotetico coinvolgimento del dettato costituzionale.

Oggi, in occasione del dibattito sulla fiducia al governo Draghi, è stata oggetto di insistita sottolineatura la proclamazione di irreversibilità della scelta di una moneta comune, l’euro, adottata dalla maggioranza dei paesi membri dell’Ue. Una opzione evidentemente legittima, adottata a seguito di un accordo internazionale, ma  altrettanto evidentemente priva di particolare tutela costituzionale, non essendo assistita da alcuna norma che ne potesse fornire una ragione, almeno teorica, di intangibilità . La scelta dell’euro potrebbe allora motivarsi e aggettivarsi in vario modo: uno strumento utile alle economie dei paesi dell’Ue, una convinta valutazione del governo condivisa dalla maggioranza del parlamento, una opinione diffusa nella società. Ma non è assegnata a quell’opzione, cui si vorrebbe attribuire la funzione di accelerazione del processo (risum teneatis!) di unità politica dell’Ue, alcuna speciale protezione giuridica – quale quella invocata in occasione della legge di introduzione del divorzio – comunque oggetto di verifica nel tempo, al pari di qualsiasi altra scelta politica. Urta quindi contro un elementare principio di libertà – questo sì  irreversibile – la proclamazione di una scelta  che si vorrebbe sottrarre a critiche o a ripensamenti.

Idola tribus o forse addirittura idola specus?

Nella comunità degli stati europei, divisi da secoli di storia, da lingue e tradizioni diverse, possono realizzarsi accordi, svilupparsi situazioni magari imprevedibili, secondo il volere dei popoli. Non è infatti dato alcun approdo conclusivo alla storia umana, a meno che non si voglia ammettere l’ingresso di una verità rivelata, di  un dogma, patrimonio di un credo religioso. O di una qualche regola fondante lo stato-partito, secondo esperienze soppressive della libertà di pensiero e di espressione.

Insomma non si deve immaginare di escludere il diritto alla «eresia» – nel caso specifico corroborata da insigni economisti – o alla bestemmia, come di recente, con riferimento ad altra vicenda, rivendicato con orgoglio dal presidente Macron.

Il metodo della libertà, faticosamente conquistato e quotidianamente da difendere, è valore essenziale alla civile convivenza e all’estensione dei diritti individuali.

Come nel caso dell’introduzione del divorzio, un frutto parziale ma rilevante di rivoluzioni politiche, di lotte religiose, di elaborazioni ideali generate dalla storia che certo non si arresta sulla soglia della modesta convenzione di adottare una divisa comune tra stati. Nel caso specifico una artificiosa moneta senza stato, creata percorrendo illegittime vie procedurali come ha dimostrato Giuseppe Guarino, oggetto di critica scientifica di premi Nobel dell’economia di diverso orientamento.

Tutto ignorato dal coro politico e mediatico di seconda e terza fila a fideistico sostegno della tecnocrazia europea, strumento del socio più forte . Più uguale degli altri, come nella fattoria degli animali, allorché riceve, nella giornata inaugurale della campagna di vaccinazione , per ogni Land una quantità di dosi di vaccino pari a quella concessa a ciascun altro stato dell’Ue. Un illuminante episodio dell’arroganza del potere, estraneo alla benchè minima traccia di federalismo o almeno di spirito comunitario, propria dei padroni dell’Ue per i quali si è escogitato l’irreversibile euro. Fino a ignorare – si noti per incidens – la prassi delle dimissioni. Già, perché, se Cameron scompare nella democrazia inglese dopo la Brexit, nella Ue von der Leyen, responsabile del disastroso errore – da lei stessa ammesso – nell’approvvigionamento del vaccino resta alla guida della commissione.

A palazzo Berlaymont, nella tecnocratica Ue connotata da un parlamento uno e trino di costosa dislocazione territoriale, pare sia di casa il concetto di irreversibilità politica!

Giovanni Corradini

Nella foto: David Cameron