L’ha scritto assai efficacemente Aldo Cazzullo (Corriere della sera del 27 maggio) dando conto dell’opinione dei tassisti di Roma, ben più radicati nella realtà sociale di leader che annunciano teoriche proposte «anglosassoni» o magari solo misure di facile demagogia. «Ferocemente contrari» alla tassa di successione per la «dote» ai diciottenni, nessuno dei tassisti, scrive Cazzullo, si sente ricco, certo lontano dai patrimoni presi di mira. Ma magari, sommando beni e cespiti vari della famiglia, si arriva, testualmente, «a una quota che a Letta e a Orfini possa apparire sospetta». Già, perché di fronte a certe proposte ci si sente sudditi, in balia dell’arbitrio di sapienti progressisti, di quella élite che sa quale sia il bene di ciascuno. Generosi, molto generosi con i soldi dei cittadini, lecitamente guadagnati e, secondo libere scelte di vita, sacrosantamente accumulati dalle famiglie per il futuro incerto dei propri figli.
A proposito dunque della recente proposta di taglieggiare la tassa di successione per assicurare una dote ai diciottenni, affiorano, non solo nei tassisti, considerazioni di buon senso e, magari, di rispetto dello Stato di diritto.
Ai giovani diciottenni beneficiari, parrebbe indistintamente, della dote devono pensare in primo luogo le famiglie, nella loro autonomia sul quanto, sul come e sul se (non sono poche quelle che possono e quelle che lo fanno). Qualora poi non ci fosse, per limiti oggettivi, il sostegno familiare, dovrebbe provvedere lo Stato, finanziato dalle imposte di tutti i contribuenti, a garantire l’accesso, in conformità del dettato costituzionale, alla migliore istruzione e qualificazione professionale, unica premessa, ben più seria della strombazzata dote, al lavoro e all’impresa.
La rendita da tassare, secondo la proposta, è una criminalizzata alternativa rispetto al reddito, ma si dimentica che essa è frutto non già di un reato, ma degli investimenti del risparmio – tutelato, pare, dalla Costituzione – che trae onesta origine dalle molteplici attività svolte negli anni dagli individui e dalle famiglie.
Il risparmio, all’origine dell’odiata rendita, è molto spesso investito nel settore immobiliare ed è già sottoposto all’Imu che altro non è – vale ricordarlo – che una salata imposta patrimoniale.
La difesa, ovviamente allestita dai detentori dei più consistenti patrimoni, è in grado di evitare, ad libitum, l’inasprimento proposto e dunque sarà, come al solito, il ceto medio con il vizio del risparmio, anche a beneficio dei figli, a pagare, more solito e addirittura post mortem.
Bizzarro pensare di stimolare, erogando una cifra dall’incerta consistenza, nella platea dei diciottenni (e perché non dei sedicenni che dovrebbero, secondo qualcuno, essere i nuovi elettori?) diffuse vocazioni a intraprendere. A tacere dei non definiti meccanismi di donazione e di restituzione (la natura anglosassone!) della dote. O non si prevedono proprio condizioni all’erogazione, all’insegna della pur necessaria responsabilizzazione dei giovani?
Ma così fan tutti, si argomenta, prevedendosi diffusamente nei vari ordinamenti l’istituto dell’imposta sulla successione più o meno gravosa. Logoro argomento di carattere comparatistico che trascura un dato specifico riguardante l’Italia attestata attorno all’ottantesimo posto nella classifica di tutti i paesi del mondo per libertà economica. Inasprire, in questo contesto, anche la tassa di successione è solo sintomo di una voglia insaziabile di ulteriori dosi di statalismo, così intensa nella carente fantasia di odierni socialisti della cattedra!
Giovanni Corradini
Nella foto: Enrico Letta