SENTENZA n. 10445 del 17 ottobre 2016

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SENTENZA n. 10445 del 17 ottobre 2016

ex articolo 60 del codice del processo amministrativo sul ricorso numero di registro generale 10693 del 2016, proposto da

Vincenzo Palumbo e Giuseppe Bozzi, quali cittadini elettori e quali componenti del Comitato liberale per il no e «come tali promotori del referendum sulla riforma costituzionale sul disegno di legge di riforma costituzionale approvato in parlamento senza la maggioranza dei due terzi», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016, Vito Claudio Crimi e Loredana De Petris, quali cittadini elettori e quali sottoscrittori e presentatori, ex articolo 6 della legge n. 352 del 1970, della richiesta di referendum costituzionale, rappresentati e difesi dagli avvocati Giuseppe Bozzi, Vincenzo Palumbo e Luciano Vasques

contro

Presidenza della repubblica, presidenza del consiglio dei ministri, ministero dell’interno, ministero della giustizia, rappresentati e difesi dall’avvocatura generale dello stato

e con l’intervento di

ad adiuvandum:

Codacons, rappresentato e difeso dagli avvocati Carlo Rienzi e Gino Giuliano; Movimento politico coscienza civica, rappresentato e difeso dagli avvocati Giuseppe Ruta, Margherita Zezza e Massimo Romano; Giuseppe Orlando, rappresentato e difeso dall’avvocato Lillo Salvatore Bruccoleri; Cittadini europei, rappresentato e difeso dagli avvocati Marco Antoci, Carmelo Giurdanella e Daniela Maliardo

ad opponendum:

Maria Rosaria Terrasi, rappresentata e difesa dagli avvocati Giovanni Pesce e Guido Corso; Comitato «Basta un Si Riccione – Generazione Si», Marco Pallaoro, Andrea Urbinati, Maria Iole Pelliccioni, Guido Pazzaglini, Nadia Magnani e Paola Pierelli, rappresentati e difesi dagli avvocati David Giuseppe Apolloni, Salvatore Menditto e Lucio Berardi

per l’annullamento, previa sospensione, del decreto del presidente della repubblica del 27 settembre 2016 per la indizione del referendum popolare confermativo della legge costituzionale recante «Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del titolo V della parte II della costituzione», approvata dal parlamento e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016; di ogni altro atto e/o comportamento presupposto, consequenziale e/o connesso, tra questi, a titolo esemplificativo ma non esaustivo, la deliberazione del consiglio dei ministri del 26 settembre 2016, nonché le proposte del presidente del consiglio dei ministri, del ministero dell’interno e del ministero della giustizia citati nel decreto

         Visti il ricorso e i relativi allegati;

         Visto l’atto di costituzione in giudizio della presidenza della repubblica, della presidenza del consiglio dei ministri, del ministero dell’interno e del ministero della giustizia;

         Visti gli atti di intervento;

         Viste le memorie difensive;

         Visti tutti gli atti della causa;

         Relatore nella camera di consiglio del giorno 17 ottobre 2016 il consigliere Antonella Mangia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

         Sentite le stesse parti ai sensi dell’articolo 60 del codice del processo amministrativo;

         Considerato che:

         – con l’atto introduttivo del presente giudizio, notificato in data 4 ottobre 2016 e depositato il successivo 5 ottobre 2016, i ricorrenti, nella loro rispettiva qualità, impugnano il decreto del presidente della repubblica datato 27 settembre 2016 con il quale è stato indetto il «Referendum popolare confermativo avente ad oggetto il seguente quesito: “Approvate il testo della legge costituzionale concernente ‘Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del titolo V della parte II della costituzione’ approvato dal parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016?», disponendo la convocazione dei comizi elettorali per la data del 4 dicembre 2016;

         – a sostegno della proposta azione di annullamento – dopo aver svolto preliminari considerazioni in ordine alla impugnabilità del decreto contestato e sulla sussistenza dell’interesse ad agire – deducono i ricorrenti il vizio di violazione di legge con riferimento agli articoli 138 e 87 della costituzione in combinato disposto con l’articolo 16 della legge n. 352 del 1970 ed il vizio di eccesso di potere sotto svariati profili, dolendosi essenzialmente della qualificazione del referendum come «confermativo di legge costituzionale» e non di «revisione della costituzione», della mancata indicazione, nel quesito, dei singoli articoli della costituzione oggetto di consultazione referendaria per come asseritamente prescritto dall’articolo 16 della legge n. 352 del 1970, lamentando altresì come il quesito referendario, limitandosi a riportare, nella sua formulazione, l’intitolazione del disegno di legge di riforma, sia «fuorviante» e, comunque, inidoneo «ad assicurare una corretta funzione informativa e di orientamento degli elettori»;

         – in data 13 ottobre 2016 l’avvocatura dello stato, in rappresentanza della presidenza del consiglio dei ministri, del ministero dell’interno e del ministero della giustizia, con articolata memoria, nell’evidenziare di non costituirsi per la presidenza della repubblica in quanto priva di legittimazione passiva (chiedendone al contempo l’estromissione dal giudizio), ha rilevato, in punto di ricostruzione fattuale della vicenda, che l’ufficio centrale per il referendum costituito presso la corte di cassazione, con ordinanze del 6 maggio 2016 e dell’8 agosto 2016, ha ammesso le richieste di referendum presentate presso la propria cancelleria, specificatamente individuando il «quesito da sottoporre a referendum» in base a dette richieste e ritenendo lo stesso conforme «a quanto stabilito dalla legge ordinaria n. 352 del 1970»; la difesa erariale ha, quindi, eccepito l’inammissibilità del ricorso per «difetto assoluto di giurisdizione«», anche in ragione dell’insindacabilità dei provvedimenti dell’ufficio centrale per il referendum, e per «difetto di interesse a ricorrere ex articolo 100 del codice del processo amministrativo», confutando nel dettaglio le censure formulate dai ricorrenti;

         – in data 14 ottobre 2016 è stato depositato atto di costituzione formale da parte della presidenza della repubblica, della presidenza del consiglio dei ministri, del ministero dell’interno e del ministero della giustizia;

         – sono stati in seguito depositati numerosi atti di intervento sia ad adiuvandum che ad opponendum nonché ulteriori scritti difensivi ad opera delle parti in causa;

         – alla camera di consiglio del 17 ottobre 2016 – fissata in via straordinaria e previa adozione di decreto di abbreviazione dei termini – è stato dato, previa verifica della completezza del contraddittorio e dell’istruttoria, preliminare avviso alle parti costituite, ai sensi dell’articolo 60 del codice del processo amministrativo, della possibilità di definizione del giudizio con sentenza in forma semplificata e, valutata negativamente la richiesta avanzata dal difensore del Codacons (a cui sono stati rappresentati dubbi sull’ammissibilità dell’intervento ad adiuvandum, attesa la proposizione da parte dello stesso di un autonomo gravame avverso il medesimo atto) in ordine ad un rinvio della trattazione della causa per un esame congiunto della stessa con altre analoghe pendenti innanzi a questo tribunale, il ricorso, dopo ampia discussione, è stato trattenuto in decisione, come da verbale;

         Ritenuto che – in via preliminare – sussista la necessità di verificare i profili inerenti la sussistenza della giurisdizione, con riferimento alla quale è stata peraltro sollevata puntuale eccezione, sotto il profilo del difetto assoluto di giurisdizione, dalle amministrazioni resistenti, con argomentazioni richiamate anche dagli intervenienti ad opponendum;

         Ritenuto che – tenuto conto dell’oggetto del giudizio, della natura e del contenuto degli atti contestati, della disciplina di riferimento e del petitum azionato, volto alla contestazione della formulazione del quesito – tale eccezione sia meritevole di condivisione, atteso che:

         – come si trae dalla narrativa che precede, mediante la proposizione del presente gravame i ricorrenti agiscono per l’annullamento del decreto del presidente della repubblica datato presidente della repubblica datato 27 settembre 2016 recante l’indizione del «Referendum popolare confermativo avente il seguente quesito: “Approvate il testo della legge costituzionale concernente ‘Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del titolo V della parte II della costituzione’ approvato dal parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016?» nonché di «ogni altro atto e/o comportamento presupposto, conseguenziale e/o connesso»;

         – ai fini del decidere, giova, pertanto, ripercorrere brevemente lo svolgimento del procedimento confluito nell’adozione del gravato decreto presidenziale, al fine di compiutamente individuare, alla luce della disciplina di riferimento, le singole sfere di attribuzione di potere e di competenza riconosciute ai vari soggetti che vi intervengono, sulla cui base verificare la sindacabilità in sede giurisdizionale degli atti dagli stessi adottati;

         – in tale direzione, va rilevato che le richieste di consultazione referendaria sono state formulate dai relativi promotori sulla base delle previsioni dettate dall’articolo 4 della legge n. 352 del 1970 – recante norme sui referendum previsti dalla costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo – il quale stabilisce, al comma 1, che «La richiesta di referendum di cui all’articolo 138 della costituzione deve contenere l’indicazione della legge di revisione della costituzione o della legge costituzionale che si intende sottoporre alla votazione popolare, e deve altresì citare la data della sua approvazione finale da parte delle camere, la data e il numero della Gazzetta Ufficiale nella quale è stata pubblicata», disponendo, al comma 2, che le richieste devono pervenire alla cancelleria della corte di cassazione entro un determinato arco temporale;

         – le richieste così formulate sono state vagliate dall’ufficio centrale per il referendum costituito presso la corte suprema di cassazione, al quale, ai sensi dell’articolo 12 della citata legge n. 352 del 1970, spetta il compito della verifica di «conformità» della richiesta di referendum «alle norme dell’articolo 138 della costituzione e della legge», pronunciandosi sulla «legittimità della richiesta» previa possibilità di contestare ai presentatori eventuali irregolarità e la possibilità per gli stessi di procedere alla loro sanatoria;

         – in esito all’esercizio di tali compiti e funzioni, espressamente disciplinati dalla legge, l’ufficio centrale per il referendum, con le ordinanze del 6 maggio 2016 e dell’8 agosto 2016, ha verificato la completezza delle richieste di referendum rispetto agli elementi di cui all’articolo 4 della legge n. 352 del 1970 – ovvero l’indicazione della «legge costituzionale» che si intende sottoporre alla votazione popolare, della data della sua approvazione finale da parte delle camere, della data e del numero della Gazzetta Ufficiale nella quale è stata pubblicata e della designazione dei delegati – la tempestività delle richieste, il rispetto del numero dei richiedenti in relazione alla loro qualità, l’autentica delle sottoscrizioni, ritenendo, come riportato nei considerando delle ordinanze, che «il quesito da sottoporre a referendum, in base alle (ndr: quattro nell’ordinanza del 6 maggio, una nell’ordinanza dell’8 agosto) richieste e conformemente a quanto stabilito dall’articolo 16 della legge n. 352 del 1970, è il seguente: “Approvate il testo della legge costituzionale concernente ‘Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del titolo V della parte II della costituzione’ approvato dal parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016?” e concludendo che le richieste referendarie “sono conformi alle norme dell’articolo 138 della costituzione e della legge n. 352 del 1970 e, pertanto vanno ammesse”, dichiarando conclusivamente, nella parte dispositiva delle pronunce, la conformità delle richieste referendarie e la legittimità del quesito da sottoporre agli elettori;

         – successivamente all’adozione delle illustrate ordinanze da parte dell’ufficio centrale per il referendum, è intervenuta la delibera del consiglio dei ministri, datata 26 settembre 2016, con la quale è stata proposta al presidente della repubblica la data del 4 dicembre 2016 per lo svolgimento del referendum popolare;

         – con il decreto del presidente della repubblica, oggetto di gravame, richiamate in premessa le norme di riferimento e la legge costituzionale da sottoporre a referendum, nonché le ordinanze adottate dall’ufficio centrale per il referendum e la deliberazione del consiglio dei ministri del 26 settembre 2016, è stato quindi indetto il «referendum popolare confermativo» avente ad oggetto il medesimo quesito contenuto nelle predette ordinanze, convocando i comizi elettorali per il giorno 4 dicembre 2016, ai sensi dell’articolo 15 della legge n. 352 del 1970, il quale dispone che il referendum è indetto con decreto del presidente della repubblica su deliberazione del consiglio dei ministri;

         – risulta, quindi, evidente, dalla ricostruzione precedentemente illustrata in ordine allo svolgimento del complesso iter di indizione del referendum e delle norme di riferimento che lo governano, come il quesito contenuto nel gravato decreto presidenziale sia il medesimo di quello indicato nelle ordinanze adottate dall’ufficio centrale per il referendum;

         – vertendo la controversia sulla denunciata illegittimità della formulazione di tale quesito, ritiene il collegio che, essendo stato lo stesso individuato dall’ufficio centrale per il referendum attraverso ordinanze non impugnabili con gli ordinari mezzi giurisdizionali (per le ragioni che meglio si illustreranno in seguito) e recepito nel gravato decreto presidenziale, non possa riconoscersi la possibilità della sua sottoposizione a sindacato giurisdizionale;

         – indirizzando la disamina verso il decreto presidenziale, atto conclusivo dell’iter di indizione del referendum costituzionale e che costituisce oggetto principale dell’impugnativa in esame, deve rilevarsi come lo stesso presenti plurimi contenuti, aventi natura e corrispondenti regimi di sindacabilità differenti, di cui l’uno riferito alla individuazione della data di svolgimento del referendum, che avviene sulla base di una deliberazione adottata dal consiglio dei ministri e che è soggetto al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, e l’altro riferito alla formulazione del quesito in recepimento delle ordinanze dell’ufficio centrale per il referendum, ivi espressamente richiamate, rispetto al quale, ritiene il collegio, non vi siano spazi di sindacato giurisdizionale;

         – occorre innanzitutto ricordare che – come più volte affermato dalla corte costituzionale (cfr., ex multis, sentenza n. 1 del 2013) – il presidente della repubblica costituisce un organo costituzionale monocratico «titolare di un complesso di attribuzioni, non inquadrabili nella tradizionale tripartizione dei poteri dello stato ed esercitabili in posizione di piena indipendenza e autonomia, costituzionalmente garantita», qualificabile come «potere» dello stato e legittimato – in quanto tale – a sollevare «conflitti di attribuzione» (cfr., tra le altre, corte costituzionale, ordinanza n. 138 del 2015; sentenza n. 200 del 2006), dotato altresì di competenze molteplici finalizzate alla attuazione dei principi costituzionali, idonee a tradursi nell’adozione di atti e provvedimenti differentemente classificabili a seconda della funzione effettivamente esercitata, che può inerire a procedimenti di formazione delle leggi, può incidere sul potere esecutivo o, ancora, essere riconducibile all’attività amministrativa, abbracciando anche funzioni peculiari ed esclusive, non classificabili nella tradizionale tripartizione dei poteri, come, ad esempio, in caso di decreti di nomina di senatori a vita e di atti di scioglimento delle camere;

         – proprio in ragione della poliedricità delle funzioni e delle competenze del presidente della repubblica, è, dunque, da escludere l’insindacabilità in termini assoluti degli atti e dei provvedimenti adottati da tale organo, essendo conseguentemente necessario procedere ad una valutazione –sempre e in ogni caso – della natura del potere in concreto esercitato alla stregua delle specifiche attribuzioni riconosciute dall’ordinamento, tenendo comunque conto delle peculiarità che connotano tali atti e provvedimenti, da coordinarsi con gli specifici profili che risultano oggetto di contestazione;

         – in tal senso ha già avuto modo di esprimersi la giurisprudenza, anche di questa sezione, affermando, proprio in ordine a deliberazioni del consiglio dei ministri adottate per la celebrazione di «referendum popolari» e al «conseguente Dpr», l’impossibilità di attribuire «la qualificazione di natura legislativa a tutti gli atti del relativo procedimento» e, quindi, rilevando la sindacabilità di tali atti «segnatamente con riferimento ai profili lesivi della libertà e della segretezza delle scelte degli elettori» e, più specificamente, nell’ipotesi in cui gli atti di cui si discute siano configurabili – «pur se connotati da un certo margine di discrezionalità» – come «atti applicativi della legislazione primaria» e, quindi, risultino soggetti a precisi vincoli giuridici (cfr. ordinanza del Tar Lazio, Roma, n. 1302 del 2011, confermata dal consiglio di stato, sezione V, con l’ordinanza n. 1736 del 2011 che qualifica gli atti impugnati come di alta amministrazione non riconducibili all’esercizio del potere politico);

          – l’estensione dell’ambito, oggettivo e soggettivo, di sindacabilità degli atti – cui il collegio ritiene di aderire –  è stata progressivamente affermata in ossequio al generale principio costituzionale di tutela delle posizioni giuridiche soggettive di cui agli articoli 24 e 113 della costituzione, segnalandosi al riguardo, quali punti di approdo di tale processo, la sentenza della corte costituzionale n. 81 del 2012 (laddove si afferma che «gli spazi della discrezionalità politica trovano i loro confini nei principi di natura giuridica posti dall’ordinamento, tanto a livello costituzionale quanto a livello legislativo; e quando il legislatore predetermina canoni di legalità, ad essi la politica deve attenersi, in ossequio ai fondamentali principi dello stato di diritto. Nella misura in cui l’ambito di estensione del potere discrezionale, anche quello amplissimo che connota un’azione di governo, è circoscritto da vincoli posti da norme giuridiche che ne segnano i confini o ne indirizzano l’esercizio, il rispetto di tali vincoli costituisce un requisito di legittimità e di validità dell’atto, sindacabile nelle sedi appropriate», giungendo a ritenere che la circostanza che l’organo che ha adottato l’atto sia un organo politico ed eserciti un potere politico non comporta che i relativi atti siano tutti e sotto ogni profilo insindacabili, non alterando la presenza di alcuni vincoli la natura politica del potere esercitato, ma piuttosto delimitandone lo spazio di azione, con conseguente sindacabilità dell’atto in sede giurisdizionale se e in quanto abbia violato una norma giuridica), nonché la sentenza del consiglio di stato, sezione V, n. 6002 del 2012, laddove si afferma che la presenza di un vincolo giuridico all’azione determina l’attrazione «delle determinazioni assunte da organi politici nell’alveo dell’azione amministrativa sottoposta, alla stregua dei principi costituzionali, al controllo di legalità da parte dell’autorità giurisdizionale» (al riguardo, anche consiglio di stato, sentenza n. 2413 del 2000, e cassazione civile, sezioni unite, 13 gennaio 2000, n. 1170);

         – rilevato, dunque – in sintesi – che i decreti del presidente della repubblica del tipo di quello in contestazione non sono insindacabili in termini assoluti, ma che sono sottratti al sindacato giurisdizionale esclusivamente nei limiti in cui il relativo contenuto costituisca esercizio di poteri non riconducibili a quelli amministrativi e «politici» non liberi nei fini nel senso dianzi illustrato, ma siano piuttosto riconducibili all’esplicazione di poteri neutrali di garanzia e controllo, di rilievo costituzionale, il collegio non può esimersi dal constatare che, mediante la proposizione del gravame in trattazione e, precipuamente, attraverso le censure formulate, i ricorrenti pongono in discussione – in definitiva – la legittimità del decreto del presidente della repubblica nella parte in cui richiama e, quindi, sostanzialmente recepisce il contenuto delle ordinanze dell’ufficio centrale per il referendum costituito presso la corte suprema di cassazione, ossia il giudizio positivamente reso da quest’ultimo circa la legittimità e l’ammissibilità delle «richieste di referendum popolare, ai sensi dell’articolo 138, secondo comma, della costituzione» e circa la legittimità del quesito referendario «Approvate il testo della legge costituzionale concernente “Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del Cnel e la revisione del titolo V della parte II della costituzione”, approvata dal parlamento e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 88 del 15 aprile 2016”», espressamente riconosciuto, nella parte motiva dei provvedimenti di cui si discute, conforme a quanto stabilito, tra l’altro, «dall’articolo 16 della legge n. 352 del 1970»;

– discende, dalle superiori premesse, che debba affermarsi l’insindacabilità del Dpr impugnato in relazione al profilo inerente al quesito referendario, tenuto conto che la formulazione dello stesso proviene dalle ordinanze dell’ufficio centrale per il referendum e che è stato meramente recepito nel conclusivo decreto presidenziale;

         – a tale conclusione si addiviene in ragione della insindacabilità, da parte del giudice amministrativo, delle ordinanze adottate, in materia, dall’ufficio centrale del referendum istituito presso la suprema corte di cassazione, stante la natura di organo rigorosamente neutrale dello stesso, essenzialmente titolare di funzioni di controllo esterno espletate in posizione di terzietà ed indipendenza nell’ambito del procedimento referendario costituzionale, con la connessa impossibilità di qualificare gli atti dallo stesso adottati in materia di referendum come atti oggettivamente e soggettivamente amministrativi (in senso analogo, ex multis, consiglio di stato, sezione IV, 26 novembre 2015, n. 5369, di conferma della sentenza di questa sezione n. 4059 del 2015; sezione IV, 4 maggio 2010, n. 2552; 16 giugno 2009, n. 3834; 2 aprile 1997, n. 333); deve ulteriormente segnalarsi che, anche aderendo all’orientamento seguito dalla corte costituzionale in ordine alla natura giurisdizionale dell’ufficio centrale per il referendum (sentenza n. 164 del 2008, ordinanza n. 343 del 2003 e sentenza n. 334 del 2004) e dalla stessa corte di cassazione, la natura dei relativi provvedimenti e la relativa definitività – salvo il caso della revocazione – a maggior ragione non consentirebbero il riconoscimento della giurisdizione di questo giudice;

         – ne consegue che le determinazioni assunte dall’ufficio centrale per il referendum sono emanate da un organo rigorosamente neutrale, e non nell’esplicazione di un potere amministrativo (pur concretandosi in poteri di verifica di conformità, per come previsto dall’articolo 12 della legge n. 352 del 1970) per concreti scopi particolari di pubblico interesse, ma nella prospettiva della tutela dell’ordinamento generale dello stato e nell’esercizio di funzioni pubbliche neutrali affidate ad un organo che, per composizione e struttura, si colloca in posizione di terzietà e di indipendenza, in quanto indifferente rispetto agli interessi in gioco e non chiamato a dirimere conflitti, ma a svolgere un’attività diretta alla soddisfazione di interessi generali garantendo l’osservanza della legge, collocandosi su di un piano diverso rispetto all’esercizio di funzioni amministrative;

         – le superiori considerazioni in ordine alla natura dei poteri esercitati dall’ufficio centrale per il referendum in materia di referendum costituzionale, unitamente al fondamento giustificativo dei poteri attribuiti al presidente della repubblica, funzionali al controllo ed alla garanzia del corretto funzionamento del sistema ordinamentale sulla base di canoni obiettivi e precostituiti, nell’esercizio dei quali, attraverso l’adozione del gravato decreto di indizione del referendum, è stata conferita veste formale al quesito individuato da un organo, quale l’ufficio centrale del referendum, in esito allo svolgimento di analoga funzione neutrale e di garanzia, conclusivamente saldandosi nel decreto impugnato, rendono tale atto ed il quesito formulato insuscettibili di sindacato giurisdizionale, in quanto non riconducibili all’esercizio di attività amministrativa ma all’esplicazione di funzioni di garanzia e di controllo aventi carattere neutrale poste a presidio dell’ordinamento;

         – sotto il profilo dei mezzi di tutela apprestati dall’ordinamento, invocata da parte ricorrente, eventuali questioni di illegittimità costituzionale della legge n. 352 del 1970 – in ipotesi riconducibili alla predeterminazione del quesito in base alla autoqualificazione della legge, in termini di revisione costituzionale o quale mera legge costituzionale indipendentemente dal contenuto effettivo e sostanziale della stessa (la cui scelta è rimessa alle determinazioni del proponente e della maggioranza parlamentare), e del titolo della stessa, tenuto conto dell’articolo 138 della costituzione, di cui la legge n. 352 del 1970 costituisce attuazione, e tenuto altresì conto dei principi che devono presiedere l’esercizio del diritto di voto tra cui quelli di libero convincimento e di consapevole manifestazione della volontà popolare, nonché della finalità del referendum costituzionale, volto, anche, alla tutela della minoranza parlamentare – sono da ritenere rimesse al vaglio dell’ufficio centrale per il referendum in sede di applicazione di tale normativa, essendo stata ammessa la sua legittimazione a sollevare questioni incidentali di costituzionalità innanzi alla corte costituzionale (ex plurimis: corte costituzionale, sentenza 17 ottobre 2011, n. 278, proprio con riferimento a questioni inerenti alla legge n. 352 del 1970; sul piano più generale, in tema di legittimazione a sollevare questioni di costituzionalità, si veda anche corte costituzionale 23 luglio 2015, n. 181, e n. 226 del 1976), eventualmente in sede di revocazione delle ordinanze adottate in materia di referendum costituzionale, ritenendo lo stesso ufficio centrale per il referendum l’esperibilità di tale rimedio sull’assunto della propria natura giurisdizionale (ordinanza dell’ufficio centrale per il referendum adottata nella camera di consiglio dell’11 novembre 2008; la possibilità di revocazione è stata riconosciuta anche con sentenza della corte costituzionale 30 gennaio 1986, n. 17);

         – avuto, infine, riguardo agli ulteriori rilievi di parte ricorrente, ritiene il collegio che non sia parimenti suscettibile di sindacato, in senso assoluto, il mancato esercizio, da parte del presidente della repubblica, del potere di intervento o del potere di rinvio degli atti ai fini del loro riesame, rientrando tali prerogative, laddove esercitabili, tra quelle di esclusiva spettanza del presidente della repubblica, in alcun modo sindacabili o sollecitabili in sede giurisdizionale in quanto espressione del ruolo costituzionale di tipo obiettivo e di garanzia svolto dal presidente stesso quale garante dell’ordinamento costituzionale;

         Ritenuto conclusivamente che, per le ragioni illustrate, il ricorso vada dichiarato inammissibile per difetto assoluto di giurisdizione, il che, nel rendere irrilevante ogni altra questione di tipo processuale, preclude altresì la possibilità di individuare, ai sensi dell’articolo 11 del codice del processo amministrativo, un diverso giudice nazionale cui sottoporre la controversia;

         Ritenuto che, tenuto conto delle peculiarità che connotano la delicata vicenda in esame e dell’assenza di precedenti in materia di referendum costituzionale, sussistano ragionevoli motivi per disporre la compensazione delle spese di giudizio tra le parti;

P.Q.M.

il tribunale amministrativo regionale per il Lazio (sezione seconda bis), definitivamente pronunciando, ai sensi dell’articolo 60 del codice del processo amministrativo, sul ricorso n. 10693/2016 R.G., come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile per difetto assoluto di giurisdizione.

         Compensa le spese di giudizio tra le parti.

         Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

         Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 ottobre 2016 con l’intervento dei magistrati: Elena Stanizzi, presidente; Antonella Mangia, consigliere; estensore Antonio Andolfi, primo referendario

lunedì 17 ottobre 2016