Il motto del Corriere della Sera è «Stiamo a distanza, restiamo uniti». Encomiabile esortazione. Infatti, faceva difetto l’ossimoro nel contrasto verbale al coronavirus! Non bastavano le metafore della guerra e del dopoguerra. Metafore che sono due volte spiacevoli ed inadeguate, perché inutilmente allarmistiche e perché l’inquietudine già al massimo non ha bisogno d’esser enfatizzata. Aggiungendo la melensa bugia «amiamoci come sempre», l’arco delle esagerazioni ha raggiunto, esso sì, il picco. Non è una guerra: non vedo tessere annonarie, né borsa nera, ma supermercati forniti e aperti; né bombardamenti né oscuramenti, ma città intatte e illuminate, persino più pulite del solito; le nostre comode case sono i nostri rifugi antiaerei; non esiste censura, bensì un diluvio d’informazioni ammannite giorno e notte dai media eccitati e ansiogeni; non siamo liberi come l’ultimo capodanno, ma neppure murati vivi come la monaca di Monza dopo la condanna; e poi, non capisco da chi difenderci e chi attaccare. Non è neppure un dopoguerra. E non solo perché senza il prima non c’è il dopo. La metafora del dopoguerra può servire soltanto a rimarcare un’abissale differenza tra questo e quel governo. Allora eravamo governati da De Gasperi, Einaudi, Scelba. Oggi, fate il paragone.
L’Italia pure nelle tragedie resta sospesa tra eroismo individuale e retorica nazionale. Ci si mette il governo e ci si mettono i governati. Governante è chi guida, regge il timone, tiene la rotta. Il governo Conte è capitato all’improvviso nella tempesta perfetta, senza sua colpa. Ha cercato di manovrare com’ha saputo. Ma è sicuro che i decreti a puntate e i discorsi a rate non hanno giovato all’autorevolezza né di Conte né del governo, che è decisiva nella temperie del Paese. Per un’implicita similitudine con «l’ora più buia» del Regno Unito, qualche giornalista, e non degli ultimi, ha paragonato nientemeno Conte a Churchill. L’Italia è allo sbando. La responsabilità non è tutta e soltanto del presidente del Consiglio e di ministri rivelatisi inadatti. Il sistema politico nella sua interezza sconta l’ultratrentennale incapacità di governarsi con serietà politica, oculatezza finanziaria, efficienza amministrativa. Così, mentre intere categorie di cittadini guadagnano elogi e ammirazione per lo zelo nell’adempimento del dovere a prezzo anche della vita, la classe politica brancola nella confusione, risoluta nel proibire e inefficace nell’elargire aiuti indispensabili quanto indifferibili.
Troppi, ignorandone la storia, evocano un nuovo Piano Marshall per la ripresa italiana ed europea. Lo intendono però come la manna dal cielo, come un miracolo che faccia rifiorire la salute e l’economia. Allora furono dollari americani elargiti per la rinascita dell’Europa devastata dalla guerra. Dove sono adesso i soldi italiani da distribuire agl’Italiani? Lo Stato deve prenderli a prestito dalle istituzioni europee e dagli investitori stranieri, avendo purtroppo poco credito, mentre la pandemia corrode la base produttiva: unica garanzia per i creditori, unica possibilità di ripagare il debito.
Per scongiurare la rottura definitiva, molti invocano una fantomatica unità come arma di difesa. Ma è unitarismo, un nostro mito. Di fatto, gl’Italiani non sono mai stati compatti come nazione. Ne danno l’ennesima prova, in piena emergenza, le beghe delle regioni e le diatribe degli scienziati. Le migliori cose gl’Italiani le hanno ottenute facendo ognun per sé. Sventolare bandiere e cantare dai balconi per esorcizzare la paura provano l’unitarismo, non l’unità nazionale. Nel dopoguerra, la rinascita italiana, sebbene incentivata dal Piano Marshall, fu nondimeno autoctona e tanto sorprendente da meritare il nome di «miracolo economico», accaduto in virtù di quella libertà di intraprendere, produrre, consumare, che fu garantita con fermezza dalla maggioranza di governo e avversata con durezza dalla minoranza parlamentare. Altro che unità! Dunque la profusione di danaro, da ovunque provenga oggigiorno, nel breve darà respiro alla nazione agonizzante, la farà sopravvivere. Ma alla lunga non dalla pioggia di cartamoneta né dai piani cartacei del governo potremo poi aspettarci un nuovo impetuoso inizio verso la prosperità duratura. No. Dipenderà dall’azione di milioni d’Italiani che, se non stoltamente impediti nei mille modi che i pubblici poteri sanno escogitare, coopereranno naturalmente per raggiungere i loro fini e così il bene della società.
Pietro Di Muccio de Quattro
Dal quotidiano Il dubbio dì mercoledì 8 aprile 2020
Nella foto: George Marshall