Una svolta per l’Africa

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Girolamo Digilio

La constatazione del fallimento delle politiche dei paesi occidentali in Africa e l’urgenza di un cambiamento di rotta pongono sul tappeto questioni di fondo della società del nostro tempo e inquietanti interrogativi sul nostro futuro. E giustamente Roncati sottolinea la necessità di una svolta culturale e di un concreto impegno individuale richiamandosi all’insegnamento di papa Francesco e all’esemplare impegno di tanti missionari cattolici. In verità la fuga di grandi masse di popolazione dall’Africa e dal Medio Oriente, la  biblica dimensione degli spostamenti nelle regioni del «progresso» e del «benessere» sono la più evidente rappresentazione di una crisi che prima ancora di essere crisi economica è una crisi culturale, morale e politica.  Non c’è dubbio che la caduta del comunismo non solo ha rappresentato la fine di un’utopia e di una odiosa dittatura, ma ha anche sancito il trionfo di un’ideologia non meno utopica, quella che teorizzava, con il mito del «libero mercato», della competizione, della produttività,  la soluzione di ogni problema.

Il presidente Reagan negli Usa e Margareth Thatcher nel Regno Unito sono stati i campioni della nuova cultura che ben presto, con Tony Blair,  ha conquistato anche i partiti che si ispiravano al socialismo e alla socialdemocrazia facendo mancare le basi per una efficace dialettica. Alla fine il «dio danaro», per richiamarci ancora all’insegnamento di papa Francesco, ha vinto. Il modello e il sogno delle grandi masse, anche di quelle africane, è il mondo propagandato dai media, quello dei facili guadagni e dell’opulenza dove tutto è meraviglioso e tutto sarebbe consentito a tutti

Le difficoltà e il dolore sono rimossi dalla rappresentazione di quello che dovrebbe essere «il migliore dei mondi».

Nella  realtà la libera concorrenza, che nelle promesse e premesse teoriche avrebbe dovuto assicurare progresso e  benessere per tutti, anche per i lavoratori e per i ceti meno abbienti, si è trasformata in un mercato selvaggio nelle mani di pochi spregiudicati speculatori che hanno finito per impossessarsi del potere politico e del governo delle nazioni a livello mondiale. Il ceto politico si è trasformato così in braccio esecutivo del potere economico: la globalizzazione ha esasperato e omogeneizzato a livello mondiale di disuguaglianze e miseria.

Il sodalizio fra i corrotti di tutto il mondo, quelli delle classi dirigenti dei paesi che una volta si definivano «in via di sviluppo» con quelli dei paesi più ricchi e la sistematica spoliazione dei paesi più poveri fanno parte di un programma che non tiene in alcun conto il bene comune e i diritti delle popolazioni interessate.

Il prolungarsi e l’accentuarsi della crisi fa emergere ora in forme diverse il disagio e la protesta delle popolazioni. Non c’è dubbio che gli allarmanti segnali che ci pervengono dalle nostre periferie ripropongono in termini  più perentori, insieme con i problemi della migrazione, quello di uno sviluppo globale più equilibrato e rispettoso dei bisogni esistenziali dell’uomo. Ma chi e come potrà tentare un simile programma passando dalle enunciate buone intenzioni ai fatti?

N°111 giovedì 29 dicembre 2016